Parlare di Tonino Orrù, per chi conosce un minimo la storia moderna del Cagliari e di Cagliari, è come addentrarsi nel profondo di una rinascita sportiva e sociale inattesa.

Fu lui, assieme ai suoi fratelli, a dare nuovo impulso economico a Sant’Avendrace, periferia della città con ambizioni di redenzione, attraverso diverse iniziative imprenditoriali e l’attività delle aziende di materiali edili messe su nel dopoguerra dal padre Mario, capostipite e punto di riferimento di tutte le operazioni legate a una famiglia fortemente ancorata alle radici.

Ma il nome di Tonino Orrù, morto domenica scorsa all’età di 84 anni, dopo quasi un decennio in cui il suo fisico è stato minato dalla malattia, è soprattutto legato a una passione: quella per il calcio.

L’Atletico fu il suo primo amore, il Cagliari il suo capolavoro.

«Tonino rispose presente nel momento del bisogno», ha detto, nel tracciarne un profilo postumo, il grande Gigi Riva. Fu proprio il Mito con la maglia numero 11, garante di una cordata di commercianti e imprenditori che salvò il club dal fallimento, a consegnargli il Cagliari prima di intraprendere una prestigiosa carriera dirigenziale con la Nazionale. Era il 1986: gli sconquassi finanziari lasciati dalle gestioni Amarugi e Moi erano voragini – a detta di molti insanabili –  nei bilanci del club.

Eppure Tonino Orrù non s’impaurì: assieme al direttore generale Carmine Longo e all’amministratore delegato Efisio Cordeddu, rimise a posto i conti non rinunciando al rafforzamento della squadra. Il primo anno, in C, si concluse con una salvezza stiracchiata, ottenuta grazie al Cincinnato rossoblù Mario Tiddia, richiamato d’urgenza per ridestare un Cagliari morente. Ma è dal 1987 al 1990 che decollò una volta per tutte la meravigliosa squadra degli Orrù. Quella dei Provitali e dei Paolino, dei Davin e dei Poli, dei Festa e dei De Paola, dei Pulga e dei Bernardini, dei Coppola e dei Valentini. Dalla Serie C alla Serie A, raggiunta nell’anno dei Mondiali delle Notti magiche, il passo fu breve solo grazie all’entusiasmo di una piazza sportiva che, nel far registrare numeri da record sugli spalti, aveva riscoperto una sua identità ben precisa anche dal punto di vista calcistico.

I tifosi in estasi, che bloccarono per una notte intera la città al rientro della squadra da Pisa, sono un ricordo che i più anziani, già all’epoca, paragonarono ai festeggiamenti per lo scudetto. In Serie A la presidenza Orrù durò per due stagioni: il legame con la tifoseria, soprattutto con quella organizzata, fu talmente saldo che – a parte qualche episodio isolato e insignificante – non ci furono contestazioni. Nel 1992, dopo aver raggiunto la salvezza con Carletto Mazzone in panchina, la famiglia Orrù consegnò il club a Massimo Cellino, che ci mise un anno, sfruttando anche il lavoro degli anni precedenti, a riportare il Cagliari in Europa. Tonino Orrù è stato uno dei presidenti più amati dalla folla, anche per la sua la capacità di entrare nel cuore della gente rossoblù da uomo del popolo che si è fatto le ossa in un quartiere di periferia.

Ai suoi funerali, nella chiesa di Sant’Ignazio, si sono ritrovati in duecento per tributargli l’ultimo saluto. Gli amici di sempre, assieme ai giocatori delle sue squadre, l’Atletico e il Cagliari, su cui ha investito risorse economiche, ma soprattutto umane. Su tutti, c’erano Gianfranco Matteoli, che proprio lui riportò in Sardegna dall’Inter di Trapattoni, fresca vincitrice dello scudetto dei record nel 1989, e Gianluca Festa, che portò al Cagliari in C dalla Fersulcis. Non è voluto mancare Claudio Ranieri, l’allenatore su cui la famiglia Orrù e il diesse Carmine Longo puntarono per la rinascita rossoblù a partire dal lontano 1987: lavorando all’unisono, costruirono una squadra che in tre anni scalò dalla terza serie alla A e ci rimase, mettendo le basi, in pochi anni, per una straordinaria cavalcata che si concluse con la semifinale di Coppa Uefa, quando ormai non c’erano più né Ranieri né gli Orrù.

La delegazione del Cagliari era composta dal capitano Pavoletti, Deiola e Kourfalidis, oltre che dall’attuale patron, Tommaso Giulini. Proprio il presidente, al termine del rito funebre, ha ricordato: «Per il Cagliari ha fatto tantissimo, prendendo la squadra in un momento di difficoltà e riportandola in Serie A. Un modo speciale per ricordarlo? Penso che sarebbe bello potergli dedicare il ritorno in A quest’anno».

Tutti i suoi rossoblù, da Bernardini a Pulga, da Paolino a Coppola, ne hanno ricordato la figura, commossi: «Per noi è stato come un padre». E Pepe Herrera (arrivato nell'Isola nel 1990 assieme a Francescoli e a Fonseca), che lo piange dall’Uruguay, ne esalta «la dote di trovare sempre le parole giuste, la capacità di starci accanto anche nei momenti di difficoltà». È l’ultimo saluto a un uomo di sport a tutto tondo, che Cagliari e la Sardegna difficilmente dimenticheranno.

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