Bionda, bellissima, geniale. Fa impazzire milioni di appassionati in tutto il mondo. Una valchiria capace di riempire gli stadi e rimpolpare il Pil americano. Ecco Taylor Swift, regina del pop, capace di trasformare in oro tutto ciò che tocca. Capace di far concorrenza ai Beatles piazzando contemporaneamente 11 brani nella top 200 di Billboard, la principale hit parade Usa. E di scatenare i suoi fan, gli swifties, (come a Seattle) fino a provocare una scossa di terremoto di magnitudo 2.3. Capace persino di influenzare anche le presidenziali americane 2024, tanto che gli analisti politici già provano a misurare quanti voti sposterà con le sue posizioni progressiste e pro-lgbtq+ (si batte, tra le altre cose, per l’approvazione dell’equality act, il disegno di legge contro la discriminazione di genere e dell’orientamento sessuale).

Capelli biondi impreziositi dalla frangia, sempre un rossetto rosso sulle labbra, eyeliner tirato all’insù, mai una scollatura, mai un abito troppo sgambato, mai un tacco spropositato, Taylor Swift è una Barbie moderna rassicurante. “Il fattore Taylor Swift”: così l’hanno ribattezzato gli analisti americani. Già materia di studio nelle università, la prestigiosa Harvard, per esempio, le dedica un corso a cui si sono iscritti centinaia di studenti. Un po’, anzi forse lei di più, come fu Madonna negli anni Ottanta quando gli atenei di mezzo mondo (anche la facoltà di Economia di Cagliari) studiavano le implicazioni culturali, letterarie e soprattutto economiche correlate alla fede nel personaggio e al culto della sua produzione discografica.

Prima Madonna, ora Taylor, quindi. Il suo tour da oltre cento concerti in 5 continenti è un volano per il Pil Usa. “L’intero tour statunitense di Taylor Swift potrebbe generare una spesa totale di 4,6 miliardi di dollari, superiore al Pil di 35 Paesi”, stima il centro di ricerca Common Sense Institute. Si pensi solo agli hotel, ai ristoranti e ai voli aerei. Mica male per una ragazza di 34 anni originaria della Pennsylvania, che ha iniziato la carriera componendo brani di musica country in cui raccontava storie della sua vita da adolescente nella provincia americana.

Il motivo del suo successo, però, è anche il rapporto con i fan: è sempre connessa con loro, interagisce con loro sui social, apre le porte di casa sua (sui social) e invita tutti. La scorsa estate, per esempio, ha raccontato (sempre suoi social) la storia col cantautore britannico Matty Healy, uno che c’entra niente col sogno americano e neppure con i gatti persiani che Taylor si porta spesso appresso, dal momento che è una delle principali testimonial del mondo felino. Non è un caso, allora, che sulla nuova copertina di Time, che la incorona persona del 2023, Taylor sia affiancata proprio da uno dei suoi tre gatti, Benjamin, ultimo arrivato nella sua vita. Un altro primato per la regina del pop (nel 2022 toccò al presidente ucraino Zelensky) perché in quasi cento anni di storia, da quando cioè Time dedica il primo numero di dicembre alla persona più influente dell’anno, in positivo o negativo, nella lista (c’è stato pure Adolf Hitler) ancora nessuno, o quasi, era legato al mondo dell’arte. Vero che nel 2017 era già tra le persone più importanti dell’anno insieme ad altre donne dello spettacolo e del cinema che avevano rotto il silenzio sulle molestie sessuali di cui pure lei è stata vittima oltre dieci anni quando un noto dj (poi condannato) le palpò il sedere durante un concerto. Ma stavolta è un’altra cosa.

Ecco perché che siamo swifties o meno, non possiamo fare a meno di Taylor Swift. Decidere di non ascoltarla si può fare, certo. Evitare di studiare il fenomeno, anche. Cambiare canale sul telecomando quando la vediamo in tv, pure. Ma tutto questo sarebbe come evitare di osservare qualcosa di importante che sta accadendo. Per dirla con le parole di una nota sociologa americana, non guardare il fenomeno Taylor Swift “è come non aver visto”, o letto, “Harry Potter. Si può vivere anche senza, ma non se ne può ignorare l’esistenza”.

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