Un’emozione senza tempo. Una tradizione che resiste alle mode e che, nell’era dei social, mantiene un fascino immutato da oltre cinquecento anni. Come è possibile? Venire a Oristano per credere. È la magia della Sartiglia che ogni anno scatena entusiasmi (e pure polemiche) come se fosse la prima volta. La manifestazione è l’anima di una città che, nei giorni del Carnevale, quasi inspiegabilmente si trasforma, l’aria si fa frizzante, allegra e fiera di un patrimonio di riti e gesti antichi, colori e suoni che solo da queste parti si vedono. Ed ecco perché in queste stagioni segnate dal Covid, gli oristanesi si sentono un po’ orfani senza quel clima unico, le emozioni della corsa alla stella e i brividi della pariglie, con le spericolate evoluzioni. Forse si riuscirà ad avere la benedizione del Componidori e una sfilata ma la Sartiglia vera, quella che fa battere il cuore, è altra cosa. 

La storia

La giostra equestre affonda le proprie radici nel Medioevo, quando “sovrani, feudatari e corporazioni di mestiere offrivano al pubblico tali spettacoli in occasione di prese di possesso di cariche di re o vescovi, di nascite di eredi al trono o di particolari festività del calendario liturgico, coinvolgendo direttamente i nobili e relegando il popolo al rango di spettatore”, fanno sapere dalla Fondazione Oristano. I più antichi documenti sulla Sartiglia, custoditi nell’Archivio Storico comunale, si trovano in un registro di consiglieria del 1547-48 in cui si parla di una Sortilla organizzata in onore dell’Imperatore Carlo V probabilmente nel 1546. Attualmente non si conoscono documenti sulla corsa in età medievale ma secondo gli studiosi è molto probabile che i giudici di Arborea conoscessero bene questi giochi di esercitazione militare e anche a Oristano nobili e cavalieri si cimentavano con la spada in prove di abilità a cavallo. Una passione che si è tramandata nei secoli come dimostra un altro documento custodito nell’archivio storico e scoperto alcuni anni fa dalla studiosa Ilaria Urgu: “Domenica 12 luglio 1722, Oristano è in festa. Nella piazza della città per tre giorni si festeggia il matrimonio del principe Carlo Emanuele III di Savoia con la principessa Cristina del Palatinato Sulzbach. Tutti i gremi cittadini sono chiamati a dare le loro dimostrazioni di festa. Dopo le solenni cerimonie religiose del mattino, aprono le giostre i componenti del gremio dei Contadini che si intrattengono sino a tardi correndo alla stella. A seguire balli in piazza, secondo l’uso della terra. Seguiranno altri due giorni di festa con mascherate e giostre equestri realizzate dagli altri gremi cittadini”.

Pariglie in via Mazzini (archivio Unione Sarda)
Pariglie in via Mazzini (archivio Unione Sarda)
Pariglie in via Mazzini (archivio Unione Sarda)

La giostra

Gli studi e le ricerche vanno avanti ma, al di là delle certezze documentali, resta la tradizione custodita gelosamente dai gremi dei Contadini e dei Falegnami. Sono queste due corporazioni che oggi, nell’era di internet, ogni anno aprono uno scrigno di storia e ricreano la magia del Componidori. È lui il capo della corsa che la domenica e il martedì del Carnevale detta tempi e regole prima in via Duomo dove si svolge la corsa alla stella e poi in via Mazzini dove 120 cavalieri, con abiti sardi o costumi spagnoli, tolgono il fiato con acrobazie in sella ai cavalli al galoppo. Per arrivare ad applaudire su Componidori c’è tutto un rituale da seguire “la vestizione”, in cui il cavaliere prescelto per guidare la corsa, viene vestito dalle “massaieddas” (giovani donne in costume tradizionale): camicia ricamata, gilet in pelle, velo, cilindro e camelia (rossa per i Contadini e rosa per i Falegnami). Poi con lo scettro di violette in mano (sa pippia de maju) benedice la folla fino alla corsa alla stella, dove si insegue la sorte: più centri si fanno maggiore sarà la fortuna e migliore l’annata. Oggi tutto questo mancherà e Oristano è più povera e forse triste. Certo, la pandemia non fa sconti ed ecco che anche solo vedere sfilare quella figura misteriosa del Componidori è una speranza. Non ci potranno essere stelle, ma la benedizione con sa pippia de maju è di buon auspicio dopo gli anni bui del Covid. E come si dice nell’ambiente della Sartiglia “attrus annus mellus”.

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