I baby boomer ce l’hanno fatta, hanno raggiunto la vetta del benessere economico andando oltre i risultati ottenuti dai padri e dai nonni, lasciando però ai propri figli un futuro precario e una vecchiaia incerta.

Sono loro, gli italiani nati dal 1946 al 1964, la punta di diamante della società moderna secondo l’ultimo report dell’Inapp, (l’Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche): quelli che nella loro vita hanno trovato maggiori opportunità occupazionali, più autonomia e un minor rischio di indigenza rispetto alle generazioni precedenti. Un primato indiscusso quasi certamente anche in confronto alle generazioni che li hanno seguiti.

Sì, perché i maligni (o i realisti) possono di certo obiettare sul fatto che il successo del Paese dal Dopoguerra sia stato alimentato dalla ripartenza post bellica e da decenni di politiche economiche nazionali e locali “allegre”, che hanno dilapidato per più di mezzo secolo migliaia di miliardi di lire distribuendo ricchezza a destra e manca, per poi presentare il conto in Euro a chi in questo millennio ha dovuto affrontare l’entrata nell’Unione europea, il conseguente riassetto forzato dei conti pubblici e la politica di austerity italiana che ha congelato per quasi venti anni assunzioni e con esse il futuro di milioni di giovani.

I numeri

E allora non bisogna certo stupirsi se «Invecchiare oggi in Italia rispetto a 20 anni fa vuol dire maggior occupazione (+11 punti percentuali), autonomia e indipendenza (+3,3 punti percentuali), miglior prospettiva di salute (+9,1 punti percentuali), rischio povertà più contenuto (-7,4 punti percentuali)», come dice il rapporto dell’Istituto che sarà presentato in occasione della Conferenza ministeriale della United nations economic commission for Europe (Unece) sull’invecchiamento, in programma a Roma dal 15 al 17 giugno.

Un benessere economico tanto solido da aver tra l’altro rappresentato in questi ultimi anni di crisi forse il più importante ammortizzatore sociale del Paese. Non a caso sono state, e sono ancora, milioni le famiglie che garantiscono vitto e alloggio alla prole ultra trentenne ancora in cerca di lavoro. E altrettante assicurano anche un piccolo o grande contributo economico ai figli che hanno spiccato il volo, ma si trovano incapaci di restare autonomi per la perdita dell’occupazione o le spese troppo onerose per essere sostenute dagli stipendi di oggi.

Senza contare il ruolo assistenziale di tantissimi ultrasessantenni, ormai nonni pensionati e per questo gli unici in grado di accudire i nipoti senza vincoli d’orario e, soprattutto, gratuitamente. «In un contesto di trasformazione delle strutture familiari – confermano dall’Inapp - le generazioni più anziane continuano ad essere uno dei riferimenti principali per il sistema di welfare “informale”, sia attraverso il contributo ai redditi delle famiglie, sia nella cura di nipoti o altri bambini (+4,3% rispetto al 2010), nonché in misura più contenuta nella cura di altri anziani o persone in condizioni di disabilità (spesso il coniuge)».

Paracadute bucato

Insomma, ciò che la crescita economica del ventesimo secolo ha dato ai baby boomer sotto forma di case, seconde case, risparmi, libretti postali, Buoni del tesoro, laute pensioni e salute viene lentamente restituito (in maniera del tutto disomogenea) alle nuove generazioni impossibilitate a proseguire con le proprie gambe.

Ma questo fragile equilibrio economico fino a quando potrà reggere? Fino a quanto potrà salvarci questo paracadute sociale improvvisato? Non tanto, visto che l’inesorabile scorrere del tempo assottiglierà l’esercito delle vecchie e ricche generazioni e ridurrà a poco a poco i loro patrimoni.

Il tempo quindi stringe per dare un futuro più certo ai bambini e agli adolescenti di oggi e domani ed evitare che vivano in quel limbo generazionale che ha intrappolato i trentenni e quarantenni di oggi, vittime sacrificali di un’Italia che dopo la seconda guerra mondiale ha preferito arricchirsi senza lungimiranza, lasciando tuttavia ai propri figli una montagna di debiti forse mai più rimborsabili.

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