Al processo per i veleni di Quirra si avvicina l’ora della sentenza, a cinque anni dall’inizio del procedimento e dieci anni dall’apertura dell’inchiesta, dopo 64 udienze, 38 con attività istruttoria, per escussione di testi e periti e un iter accidentato costellato di rinvii e ricorsi.

Tra il 2015 e il 2016 lo stop più lungo.

Oltre 400 giorni per una questione sollevata dalla Regione Sardegna di fronte alla Corte Costituzionale in materia di risarcimenti.

Una faccenda che nulla aveva a che fare con le responsabilità degli otto imputati

accusati di omissione dolosa di cautele contro infortuni e disastri.

Quella di Quirra è stata una vicenda giudiziaria senza precedenti. Non era mai successo che otto alti ufficiali di Esercito e Aeronautica fossero chiamati a rispondere di quel che accadeva nella base che comandavano.

Fabio Molteni, Alessio Cecchetti, Roberto Quattrociocchi, Valter Mauloni, Carlo Landi, Paolo Ricci, Gianfranco Fois e Fulvio Francesco Ragazzon sono gli ufficiali che si sono avvicendati alla guida della base dal 2002 al 2012.

All’udienza preliminare, conclusa l’11 luglio 2014, era sopravvissuto solo un capo di imputazione. Il gup del tribunale di Lanusei, Nicola Clivio, acquisita la relazione del perito Mario Mariani, aveva smembrato i capi d'accusa e prosciolto le altre dodici persone iscritte nel registro degli indagati dal procuratore della Repubblica Domenico Fiordalisi. Ricercatori, sindaci, chimici e militari accusati di aver partecipato, a vario titolo, al disastro ambientale.

Era nato monco nelle accuse e zoppo alla partenza, il processo Quirra, con un rinvio per un difetto di notifica. La prima udienza si sarebbe dovuta tenere il 23 settembre 2014.

Per la costituzione di parte civile era stato applicato il seguente criterio: sono stati

ammessi al risarcimento in caso di condanna i cittadini che hanno denunciato malattie e lutti avvenuti nel periodo contemplato dalla Procura, ovvero dal 2002 al 2011.

Le loro storie sono state raccontate in questi anni al Tribunale di Lanusei. Come quella del signor A. P., buonanima, farcito di arsenico e cerio. Nei suoi tessuti anche piombo per un esercito. Come lui anche P. L., la cui tibia custodiva zirconio in quantità e altri metalli non forniti di serie al genere umano. Le salme di Quirra raccontano la triste storia di chi ha vissuto il Poligono e i suoi veleni. Nei giorni scorsi i legali delle 94 parti civili hanno chiesto risarcimenti. Cifre da 50 mila a 20 milioni di euro. Altri hanno preferito affidarsi alla sensibilità del giudice Nicole Serra.

La giudice Nicole Serra (foto archivio L'Unione Sarda)
La giudice Nicole Serra (foto archivio L'Unione Sarda)
La giudice Nicole Serra (foto archivio L'Unione Sarda)

In questi giorni da più parti è stata rilanciata la questione: ne valeva la pena? Di un processo così lungo e difficile, i cui reati (sviliti rispetto alle aspettative) sono a rischio prescrizione. Sarà la classica bolla di sapone? Il concetto è stato chiarito in maniera efficace da procuratore Biagio Mazzeo durante la sua discussione. «E’ stato legittimo andare a vedere cosa succedeva alle persone e agli animali dentro e fuori il Poligono. È innegabile come le patologie tumorali in questa area ristretta, un cluster, abbiano un’incidenza fuori dal normale». Lo stesso Mazzeo ha poi detto come non vi siano mai state motivazioni ideologiche. «Non è un processo alle forze armate né alla presenza militare in Sardegna>. Sebbene i più siano scettici, è abbastanza evidente come qualche risultato l’inchiesta e il processo l’abbiano avuto. A Quirra non si fanno più brillamenti, l’Ogliastra non è più la discarica delle armi obsolete di tutta Europa. C’è una maggiore consapevolezza di come deve essere tutelato un territorio. Il processo, per indagare sulle ipotesi di reato, ha scandagliato trent’anni di segreti, omissioni, silenzi colpevoli, a cominciare da quello della Regione. Un ex militare del Poligono, Andrea Lai di Perdasdefogu, descriveva così in aula il Pisq. «Era come in un albergo. Prenotavano, arrivavano, facevano quel che dovevano fare e poi se ne andavano. E noi dovevamo fare pure le pulizie». Senza guanti. Bene forse il processo Quirra ha proprio chiarito questo aspetto: questa casa, casa nostra, non è un albergo. La Giustizia farà il suo corso ma di certo sulle attività militari a stretto contatto con le popolazioni civili non calerà di nuovo il silenzio.

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