A vederlo adesso fa quasi tenerezza. Ha solo 40 anni, ma sembra un reperto archeologico. Nel campo dei computer è facile invecchiare male. Eppure il primo Macintosh rappresentò una rivoluzione. Aprì la strada a una lunga serie di prodotti che hanno fatto la storia dell’informatica di largo consumo. E quella storia ebbe inizio il 24 gennaio 1984, naturalmente a Cupertino, California, dove aveva già messo radici la Apple.

Quando un giovane Steve Jobs (non aveva ancora 29 anni) salì sul palco del De Anza Community College, nessuno poteva pensare che quel genietto con un grande senso dello show sarebbe diventato un guru della tecnologia, e l’azienda per cui lavorava avrebbe raggiunto il titolo di società più capitalizzata al mondo. Certo non autorizzava a immaginare destini così prestigiosi quel piccolo totem grigio-beige, con uno schermo di appena 9 pollici e una memoria Ram che oggi fa ridere: 128K. Ormai il più scadente degli smartwatch ne ha molta di più, e se state leggendo queste righe su un telefonino è probabile che il vostro dispositivo arrivi a 8 Giga, cioè oltre 62mila volte più di quel computer preistorico.

Ma quella era davvero un’era pionieristica, in cui i calcolatori tentavano faticosamente di uscire dai laboratori dei super esperti per entrare nelle case della gente normale. L’ostacolo alla diffusione del computer non era solo il costo, ma soprattutto la difficoltà d’uso: era necessaria una conoscenza quantomeno rudimentale di qualche linguaggio di programmazione (il più gettonato era il Basic), era a volte un’impresa anche solo accendere le macchine, e i pochi programmi disponibili spesso giravano male.

L’interfaccia “amichevole”

Col Macintosh 128K la Apple intraprese la strada che poi per lungo tempo la rese un modello che tutti cercavano di imitare: introdusse infatti in un computer “domestico” la cosiddetta interfaccia grafica. Vale a dire la possibilità di interagire con la macchina cliccando (col mouse, strumento allora relativamente nuovo) su delle icone: lo facciamo ancora adesso, e ci sembra normale. Nei primi anni ’80 però non lo era, e si impartivano i comandi scrivendo complesse stringhe di testo appunto in Basic o altri linguaggi ostici. Solo chi ha abbastanza primavere sulle spalle ricorderà la riga di prompt “C:\” in cui si inserivano quei comandi.

In realtà prima della Apple era arrivata la Xerox a creare un pc con mouse e interfaccia grafica, e infatti Steve Jobs fu accusato di aver copiato dall’azienda delle fotocopiatrici. Ma il loro prodotto non aveva venduto granché, mentre quelli della mela riuscirono a ottenere una discreta quota di mercato malgrado il prezzo tutt’altro che basso (quasi 2.500 dollari). L’interfaccia “amichevole” restava comunque una caratteristica quasi esclusiva: Microsoft, per dire, ci arrivò compiutamente più di dieci anni dopo.

Steve Jobs da giovane con uno dei primi Macintosh
Steve Jobs da giovane con uno dei primi Macintosh

Steve Jobs da giovane con uno dei primi Macintosh

Detto questo, il Macintosh 128K poteva fare davvero poco: proprio l’impostazione grafica occupava gran parte della memoria della macchina, e non rimaneva granché per far girare i software. Di fatto funzionavano quasi solo MacPaint e MacWrite, programmi rispettivamente di disegno e videoscrittura ma anch’essi rivoluzionari: applicavano infatti il principio del cosiddetto “What you see is what you get” (letteralmente: ciò che vedi è ciò che ottieni), per cui la schermata costituiva un’anteprima di ciò che si sarebbe ottenuto poi stampando il file. Invece nei classici pc Ibm, allora i più diffusi, non esisteva ancora la possibilità di scrivere – come facciamo tuttora – su una sorta di foglio A4 virtuale, in cui si vedono comparire le parole man mano che vengono digitate. La scarsità di Ram costrinse comunque Apple ad accelerare l’immissione nel mercato del computer successivo, il Macintosh 512K, con memoria quadruplicata.

L’avvio dei grandi eventi

La versione da 128K può vantare però un’altra primogenitura: la presentazione spettacolare in grande stile, poi adottata regolarmente per tutti i prodotti Apple, fino a trasformare il lancio dei nuovi iPhone in veri e propri eventi mediatici di risonanza planetaria. E ovviamente quel 24 gennaio 1984 fu Steve Jobs a fare da mattatore, anche se nell’azienda non aveva ancora il ruolo di comando che avrebbe assunto in seguito. Per far colpo e dare l’idea di un oggetto agile, sul palco del De Anza College il pubblicò trovò una valigetta: con la sua indubbia presenza scenica, Jobs tirò fuori da lì il nuovo gioiellino. Dopodiché, altro colpo di teatro, fu lo stesso Macintosh a presentarsi, salutando i presenti con un messaggio pronunciato da una voce sintetizzata che disse, tra le altre cose: “Ciao, è proprio bello essere usciti da quella borsa! Non fidatevi mai di un computer che non potete sollevare”. Tutta la presentazione veniva gestita da un software del Macintosh, ma con un piccolo trucco: essendo troppo pesante per la memoria del nuovo nato, per l’occasione fu utilizzato il prototipo del 512K, che non sarebbe stato commercializzato prima del settembre successivo.

Ultima curiosità: il 128K ha inaugurato la lunga serie di computer Apple chiamati “Macintosh”, e il nome è una delle poche eredità di Jef Raskin, il programmatore che diede il via al progetto di interfaccia grafica ma fu poi spodestato proprio da Steve Jobs. Quest’ultimo modificò quasi tutta l’impostazione tecnica e stravolse il design, ma non intervenne sul nome: Raskin lo aveva scelto pensando alla sua varietà di mela preferita, che si scrive in maniera un po’ diversa, la McIntosh. Cosa c’entra con i computer? Niente, ma c’entra con la Apple (“mela” in inglese).

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