La sentenza: Zuncheddu è innocente
Il processo di revisione si conclude come chiunque aveva seguito le udienze si attendeva. Ma la formula non soddisfa la difesa: la Corte d’appello di Roma si è basata sulla vecchia insufficienza di prove, quindi a suo parere restano ombre sul ruolo ipotetico del pastore di Burcei.Per restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
Continua la ricostruzione della lunga vicenda che per oltre 30 anni ha portato in carcere un innocente.
********
La mattina del 26 gennaio 2024 l’aria a Roma è frizzante, e non solo per la temperatura. È inverno, fa fresco, il cielo è coperto da nuvole grigie. Davanti all’ingresso della cittadella giudiziaria alle 11 c’è il classico via vai di avvocati, imputati, cancellieri, forze dell’ordine. Ma nell’arco di breve tempo fa la sua comparsa anche la comitiva in arrivo da Burcei: parenti e amici di Beniamino Zuncheddu che mai, da quando è iniziato il processo di revisione (nel settembre precedente), hanno fatto mancare il proprio sostegno al compaesano. Un pastore che, condannato all’ergastolo a Cagliari nel 1992 in quanto riconosciuto responsabile della “strage di Sinnai” (tre persone uccise nello stazzo di Cuile is Coccus a 700 metri di altitudine sotto le antenne di Serpeddì), grida la sua innocenza da oltre tre decenni e ora, da qualche mese, ha la concreta speranza che la storia abbia cambiato corso.
La revisione
Con un lavoro puntiglioso e costante il suo avvocato Mauro Trogu è riuscito a far riaprire il caso trovando la sponda di Francesca Nanni, sino a poco tempo prima procuratrice generale a Cagliari. Nel 2017 il legale ha cominciato a occuparsi della vicenda, si è convinto che il detenuto non abbia avuto alcun ruolo negli omicidi (furono fatti fuori Gesuino Fadda, proprietario dell’ovile, il figlio Giuseppe e il pastore Ignazio Pusceddu, mentre per un errore di valutazione del killer sopravvisse il genero del titolare, Luigi Pinna, la cui testimonianza fu decisiva nella condanna di Zuncheddu) e assieme alla magistrata, a sua volta della stessa idea, ha depositato a Roma la richiesta di riapertura del processo.
Una strada che sembrava troppo stretta per essere percorsa e che invece pian piano si è allargata, tra varie difficoltà, sino a diventare molto larga. Oltre sei anni di lavoro per arrivare al traguardo: quel giorno, quel 26 gennaio, è prevista la sentenza.
L’attesa
Due possibilità: la conferma della condanna, e una pietra tombale sulle speranze dell’ergastolano di tornare in libertà; o l’accoglimento della richiesta e dunque l’assoluzione. Possibile cancellare tre gradi di giudizio concordi tra loro? E, nel caso, chi restituirebbe tutto il tempo perduto a un recluso che in quel momento ha 60 anni ma ne aveva 26 al suo ingresso in cella? Situazione difficile.
Così ecco il perché di quella particolare elettricità nell’aria. Davanti all’ingresso arrivano la sorella Augusta, la nipote, il fratello e gli amici di Beniamino Zuncheddu, il sindaco del paese Simone Monni, la garante dei detenuti in Sardegna e tesoriera dei Radicali Irene Testa. Srotolano, come sempre nelle occasioni precedenti, lo striscione “Liberatelo, Beniamino è innocente” e il cartello con la foto del suo volto. «Sono fiducioso», dice senza scaramanzia l’avvocato Trogu, «gli elementi depongono tutti in favore dell’accoglimento della richiesta di revisione».
L’ammissione
Fa riferimento a quanto emerso nelle varie udienze nella Capitale, alle testimonianze, alle consulenze, alle perizie. Soprattutto, alle intercettazioni grazie alle quali è emerso che il sopravvissuto aveva visto la foto del possibile responsabile della mattanza (Zuncheddu) prima del dovuto (prima cioè che il pm titolare delle indagini gliene facesse vedere diverse tutte assieme), restando così condizionato nell’indicare il pastore di Burcei quale autore delle fucilate che avevano cercato di uccidere anche lui; e all’ammissione del superstite che, due mesi prima a Roma, rispondendo a una domanda riguardante le frasi da lui stesso pronunciate in auto assieme alla moglie davanti al Palazzo di giustizia di Cagliari nel febbraio 2020 (poco prima era stato interrogato dalla pg Nanni su quei fatti vecchi trent’anni e nel frattempo i carabinieri avevano installato una cimice nel veicolo per sentire la sua reazione), aveva ammesso, in sintesi: «Hanno capito tutto, hanno ragione, la foto me l’ha mostrata Marieddu».
Cioè Mario Uda, all’epoca ispettore della Criminalpol che seguiva le indagini sulla strage. Fu lui a fargli vedere l’immagine di Zuncheddu prima del riconoscimento ufficiale. Dunque era vero quanto sostenuto da Trogu e Nanni: il testimone era stato condizionato e la «prova regina», come l’aveva definita la procuratrice generale, era «falsa».
Tanto che sulla base di quelle dichiarazioni la Corte d’appello di Roma il 25 novembre ha sospeso l’esecutività della pena per Zuncheddu. Insomma, l’ha scarcerato ritenendo ormai Pinna inattendibile. Quasi una sentenza anticipata, e adesso a gennaio tutti i parenti e gli amici dell’ergastolano si aspettano che arrivi anche l’assoluzione vera. Ma non c’è alcuna certezza, perché la decisione finale potrebbe essere comunque diversa e in parte dipenderà anche dalle discussioni di pm, parte civile e difesa.
L’ultimo passaggio
Le conclusioni si annunciano lunghe, tanto che qualcuno teme la decisione possa slittare: l’udienza comincia come sempre poco dopo le 15 e al termine, ritiratisi in camera di consiglio, i giudici si prenderanno tutto il tempo necessario per pronunciare la sentenza. Col rischio quindi che l’atto finale sia rinviato, magari al giorno seguente. Non resta che attendere.
Prende parola il pg Francesco Piantoni, che ripercorre tutta la vicenda ed elenca i motivi per i quali Zuncheddu va assolto, cancellando trent’anni di realtà giudiziaria. Quindi è la volta delle avvocate di parte civile Alessandra Maria del Rio, che assiste Pinna e la moglie Daniela Fadda (figlia di Gesuino), la quale sin dall’inizio ha lasciato aperta la porta del dubbio (resta il sospetto che l’ergastolano sia realmente il responsabile della strage) ma si rimette alle decisioni dei giudici, e delle colleghe Francesca Spanu e Rossana Palmas, che seguono Maria Alessandra Fadda (altra figlia di Gesuino) e si accodano alle conclusioni del pg. Infine è la volta del difensore Mauro Trogu, che entra ancor più nel dettaglio e ribadisce la sua estrema convinzione dell’innocenza di Zuncheddu elencando tutti gli elementi emersi in quei sei anni di lavoro. Poi è l’ora della camera di consiglio: alle 19 (più o meno) i giudici si ritirano per la decisione. E comincia l’attesa finale.
L’attesa
C’è chi esce e fuma nervosamente, chi cerca qualcosa da mettere sotto i denti, chi si siede nel corridoio davanti all’aula e riflette da solo. Tutt’intorno si formano capannelli di persone che parlano, commentano, sperano. I parenti di Zuncheddu, la stampa regionale e nazionale, le televisioni, i siti di informazione, le forze dell’ordine (Polizia e Carabinieri che controllano la situazione). Come andrà, quanto si attenderà, cosa staranno facendo i giudici: solo alcune delle domande che rimbalzano da un lato all’altro di quell’ala dell’edificio.
La sentenza
Poi poco prima delle 21 l’annuncio: ci siamo quasi. E tutti tornano in aula, si sistemano, si preparano all’uscita della Corte. Che si fa vedere subito dopo. Il presidente Flavio Monteleone appoggia il dispositivo sulla cattedra, attende che entrino le giudici Franca Amadori (relatrice della sentenza) e Gabriella Bonavolontà, si accerta che tutte le parti siano presenti, chiede loro se si senta bene la propria voce e comincia a leggere. «La Corte d’appello di Roma, in nome del popolo italiano, revoca la sentenza…» e tutto è subito chiaro, rimarcato ulteriormente dalla frase di poco successiva: «Assolve lo Zuncheddu dai reati ascritti», cioè dal triplice omicidio. Eccetera eccetera.
La gioia
Ancora pochi secondi e la lettura si conclude. Lasciando spazio agli applausi, alle lacrime, agli abbracci. Trentatré anni dopo la strage, e a distanza di 31 dalla condanna definitiva, il pastore di Burcei diventa un uomo del tutto libero e innocente. Un verdetto che lui, la sua famiglia e il paese attendevano da tempo. «Ce l’abbiamo fatta», il suo stringatissimo commento mentre, sommerso da microfoni e taccuini, si stringe all’avvocato Trogu e alla sorella, che a sua volta può finalmente esultare, pur con moderazione: «Finalmente abbiamo ottenuto giustizia». Nessun eccesso, perché lei e la famiglia hanno attraversato «tanta sofferenza», dolore che anche una sentenza simile non può comunque cancellare.
Felice la pg Nanni, che sminuisce il suo ruolo («ho fatto solo il mio dovere»), felicissimo Trogu («siamo molto contenti, era il risultato in cui abbiamo sempre sperato. Ora lavoreremo per garantire un futuro radioso a Beniamino»). Zuncheddu sorride. Piangono la nipote, gli amici, i compaesani. Interviste, commenti, risate. Poi tutti via, l’ora ormai è tarda e il palazzo deve chiudere.
Non è finita
Il passo più difficile è stato compiuto, poi si aprirà un’altra partita, dovuta e necessaria. Il risarcimento per una detenzione tanto lunga quanto ingiusta: è previsto, si può e si deve. Zuncheddu in quei 33 anni avrebbe potuto sposarsi, avere figli, stare all’aria aperta, divertirsi, piangere. Vivere. Non ne ha avuto la possibilità. Pagherà lo Stato. Ma resta un punto interrogativo: l’assoluzione è arrivata in base al secondo comma dell’articolo 530, la vecchia insufficienza di prove. Dunque non è del tutto piena. Alla Corte restano alcuni dubbi. E quando saranno depositate le motivazioni si capirà il perché.
14) Continua