C’è un primato di cui avremmo fatto molto volentieri a meno: dopo Napoli, Cagliari è stata la città italiana più bombardata nel corso della Seconda guerra mondiale. Secondo alcuni, gli ordigni alleati provocarono un migliaio di morti, secondo altri la cifra è almeno doppia. Di certo, c’è il fatto che oltre quarantamila persone si ritrovarono senza casa, che su 4500 edifici esistenti oltre 700 furono completamente distrutti, quasi 450 subirono gravi danneggiamenti e quasi 2.300 ebbero, comunque, danni, sia pure minori. In pratica, tre edifici su quattro furono rasi al suolo o resi inabitabili. Danni anche al patrimonio artistico, dal bastione di Saint Remy, passando per la basilica di San Saturnino e per la chiesa di Sant’Anna (giusto per citare solo alcuni edifici).

E dire che, per i primi due anni, il conflitto sembrava una cosa assolutamente lontana: l’unico effetto della guerra era il razionamento, reso più pesante in città dall’approssimazione dei funzionari dell’Ovra (Opera volontaria di repressione antifascista). Ma, proprio quando il conflitto sembrava prendere una piega favorevole per le truppe antifasciste e antinaziste, cominciarono i problemi seri per la città: gli eserciti alleati, spazzati via italiani e tedeschi dall’Africa, puntavano direttamente all’invasione dell’Italia. E Cagliari (ma anche il resto della Sardegna meridionale) si ritrovò a diventare l’agnello sacrificale: gli alleati, sostengono alcuni storici, presero di mira la città per disorientare i nemici, facendo credere loro che puntavano a invadere la Sardegna mentre il loro vero obiettivo era la Sicilia.

Così, il 2 e l’8 giugno 1942 Cagliari fu presa di mira dai bombardieri inglesi: il primo giorno furono attaccate al porto le navi da guerra ma le bombe ebbero solo l’effetto di provocare due morti e di danneggiare il cimitero monumentale di Bonaria. L’8 giunto, invece, fu bombardata il centro della città, in particolare, il Largo, via Angioy e via Sassari. In questo caso i morti furono circa dodici.

All’inizio dell’anno successivo, fu inizialmente preso di mira l’aeroporto di Elmas: il 21 gennaio furono danneggiati gli hangar e morirono sei persone; il 7 febbraio, furono uccisi dieci italiani e sedici tedeschi, sempre a Elmas. Ma, anche in quei giorni, sembrava che le bombe non avrebbero mai toccato la città. Un’illusione: il 17 febbraio gli aerei statunitensi, anziché dirigersi su obiettivi militari, puntarono il centro della città. I cagliaritani erano assolutamente impreparati: in quella mezz’ora di bombardamenti morirono quasi cento persone, tra le quali l’illustratore Tarquinio Sini. Gli aerei, poi, proseguirono la loro missione di morte, diretti all’aeroporto militare di Villacidro: lanciarono ordigni su Quartu, provocando la morte di otto persone e su Gonnosfanadiga (si calcola che perirono tra 80 e le 110 persone).

I bombardamenti ripresero il 26 febbraio quando furono colpiti una serie di edifici storici, dalla torre dell’Elefante alle chiese di San Giuseppe e Sant’Anna, a palazzo Vivanet e al Palazzo civico. Danneggiato seriamente, in quell’occasione, il Bastione che fungeva da riparo antiaereo. Due giorni dopo, 85 aerei alleati sganciarono 538 bombe: una di queste colpì la stazione ferroviaria provocando la morte di un centinaio di persone. Quei tre bombardamenti causarono la morte di almeno quattrocento persone (ma, secondo alcuni, i morti furono addirittura settecento).

Altri sessanta morti il 31 marzo quando le bombe caddero sul porto e su piazza del Carmine. Il bombardamento più distruttivo, però, fu quello del 13 maggio: in due diversi momenti, duecento bombardieri sganciarono sulla città cinquecento tonnellate di esplosivo, distruggendo quei pochi edifici che ancora erano rimasti in piedi. In questo caso, però, i morti furono decisamente pochi perché la maggior parte dei cagliaritani avevano cercato rifugio nei paesi dell’interno.

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