La pandemia ha fermato l’economia, ha provocato un brusco rallentamento dell’attività ma la ripresa oggi si vede, nonostante le turbolenze, soprattutto borsistiche, causate di recente dall’arrivo della variante Omicron. Le aziende che operano in Sardegna hanno risentito dell’espandersi del Covid-19 e soprattutto alcuni settori, come ad esempio quello turistico, hanno avuto evidenti cali di fatturato nel 2020, in parte recuperati nel 2021.

Un recente studio svolto da Giorgio Garau, docente di Statistica economica all’Università di Sassari, insieme a Marco Cogoni e Ignazio Marongiu, tuttavia mette in luce che la pandemia ha solo aggravato le condizioni economiche di chi già si trovava in una situazione di difficoltà. Un po’ come nella medicina. Il Covid-19 ha colpito duramente soprattutto chi aveva una condizione di salute non proprio sana. Così è capitato anche nell’economia sarda.

L’indagine

Lo studio ha preso in considerazione le società di capitali che operano in Sardegna con un volume d’affari compreso tra 5 e 50 milioni di euro. Nell’Isola queste caratteristiche riguardano circa 400 imprese che realizzano un volume d’affari complessivo pari a circa 5 miliardi di euro, in crescita negli ultimi cinque anni. Nello stesso periodo preso in esame, spiegano Garau, Cogoni e Marongiu, “il patrimonio netto delle società si è accresciuto notevolmente migliorando l’indipendenza finanziaria e riducendo quindi l’indebitamento relativo”.

Per portare avanti l’analisi sono stati analizzati alcuni parametri specifici per valutare lo stato di salute delle imprese: grado di copertura delle immobilizzazioni, indipendenza finanziaria, incidenza degli oneri finanziari, flusso di cassa. Mettendo insieme tutti i dati, è emerso uno stato sostanziale di buona salute delle imprese sarde che rientrano nella categoria tra 5 e 50 milioni di fatturato. “Si consideri che al 95% chi si trovava in zona grigia nel 2020 ci si trovava anche negli anni precedenti e pertanto le difficoltà erano già presenti prima degli eventi pandemici”.

Entrando nello specifico dei dati,  “la prima fonte di discriminazione per analizzare gli effetti della pandemia sulle società con basso rating è data dall’eventuale calo del fatturato”. Delle 135 società considerate sono 75 (55%) quelle che rientrano in questa situazione. Undici hanno avuto un calo di fatturato superiore al 30%, nove tra 20 e 30%, venti tra 10 e 20%, sedici tra 5 e 10% e diciannove tra 0 e 5%.

I risultati

All’interno del primo gruppo, “sono 4 le società che già avevano manifestato perdite di fatturato negli anni precedenti al 2020 e 4 quelle in perdita operativa nel 2020. Di queste ultime, 3 sembrerebbero avere i numeri per superare la crisi. All’interno del gruppo le società in crisi sono sicuramente 2 alle quali, con probabilità significativa, potrebbero aggiungersene altre 2”, scrivono Garau, Cogoni e Marongiu.

Nel secondo gruppo, risultano in perdita operativa per il 2020 quattro società ma soltanto due in misura significativa. Nel gruppo sono presenti due società con cali di fatturato pregressi che potrebbero non reggere l’impatto con il calo del 2020. Nel terzo gruppo, quello con cali di fatturato compresi tra il 10 e il 20%,  “la combinazione fra perdita operativa e calo di fatturato pregresso riguarda 5 società per le quali lo stato di crisi sembra già una realtà”. Anche nel quarto gruppo “la combinazione fra perdita operativa e calo del fatturato pregresso riguarda 4 società per le quali lo stato di crisi sembra già una realtà”. Infine, nell’ultimo gruppo, gli effetti della pandemia sono quasi irrilevanti e “sono presenti 3 società che associano e per più anni redditività operativa negativa e calo del fatturato”. Solo tre dunque su diciannove, un dato largamente minoritario.

Dunque, le società in crisi e che mostrano un netto calo di fatturato mostrano anche gli altri parametri in linea: quindi flusso di cassa negativo, così come l’utile netto. In altri casi, invece, il calo del fatturato non è associato a una diminuzione della redditività.

Si tirano le somme

La conclusione dello studio dunque è abbastanza chiara: la pandemia non ha fatto altro che peggiorare la situazione di chi già era in una situazione di difficoltà. “L’analisi svolta sull’universo delle società della Sardegna con volume d’affari compreso tra i 5 e i 50 milioni consente di prevedere o di constatare lo stato di crisi aziendale per circa 20 società (il 5% del totale)”, scrivono Garau, Cogoni e Marongiu. “Tali società rappresentano insieme un volume d’affari di circa 350 milioni di euro e 1.500 occupati (rispettivamente il 7% e il 6% di tutto l’insieme). Va ricordato che lo stato di crisi aziendale, latente o attuale, non è irreversibile e non costituisce sinonimo di default o fallimento. L’impressione generale che l’analisi ha suscitato è che gli effetti dell’evento pandemico non abbiano prodotto risultati deleteri per le società sane o con leggere difficoltà ma abbiano aggravato la situazione di società che già manifestavano problemi di squilibrio economico e finanziario”. Tirando le somme, la pandemia non ha fatto bene, ma ci si può riprendere. L’analisi non indica le soluzioni, che probabilmente coincidono però con le strade indicate su più fronti: digitalizzazione, innovazione, infrastrutture materiali, investimenti sul materiale umano e adattabilità alle nuove esigenze di un’economica in forte cambiamento.

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