Politici di maggioranza e opposizione intercettati da una misteriosa organizzazione, che ascolta anche le telefonate di quotidiani, enti istituzionali e aziende private. Persino del Quirinale e della Corte costituzionale. Per chi ama i film di politica e spionaggio, questo plot può rappresentare una buona base di partenza. Solo che non è una sceneggiatura, ma la sintesi di qualcosa che è accaduto davvero. In Italia. Mezzo secolo fa.

Non se ne parla più, è uno scandalo quasi dimenticato, travolto probabilmente dalla maggiore gravità che mostrava, in quel tempo, il fenomeno del terrorismo. Eppure, negli stessi anni e mesi in cui si sviluppava negli Stati Uniti il caso Watergate, che giunse a far dimettere il presidente Nixon, in Italia accadeva qualcosa di simile, e probabilmente non meno grave. Solo che non è rimasto nell’immaginario collettivo come la vicenda americana. Dalle indagini emersero torbidi personaggi con ruoli perlopiù esecutivi, qualcuno finì in galera, tra questi anche Tom Ponzi, il principe degli investigatori privati. Ma gli ideatori dell’attività illecita rimasero nell’ombra.

Una fuga di notizie

Il Watergate italiano venne alla luce inizialmente nei primi mesi del 1973, quando si seppe di un’indagine del pm Luciano Infelisi che era partita dall’intercettazione abusiva delle telefonate di un’azienda petrolifera, la Chevron. Qualcosa di simile era accaduto anche all’italiana Montedison. Da lì, la polizia giudiziaria scoprì che in realtà era stata allestita una vasta rete per l’ascolto delle comunicazioni di un elenco molto eterogeneo di soggetti.

Venivano intercettate le chiamate di almeno tre quotidiani (Il Messaggero, L’Avanti, Paese Sera), varie grandi aziende, i leader dei grandi sindacati, parecchi esponenti politici tra cui alcuni ministri democristiani (si parlò anche del presidente del Consiglio Giulio Andreotti), il potente parlamentare socialista Giacomo Mancini, i segretari del Pci e del Msi, Enrico Berlinguer e Giorgio Almirante. Ma anche persone di tutt’altra estrazione: come l’attrice Silvana Mangano e la cantante Lara Saint Paul.

Giovanni Leone, capo dello Stato dal 1971 al 1978 (foto Daniele Gober da Wikipedia)
Giovanni Leone, capo dello Stato dal 1971 al 1978 (foto Daniele Gober da Wikipedia)
Giovanni Leone, capo dello Stato dal 1971 al 1978 (foto Daniele Gober da Wikipedia)

Dopo la prima fuga di notizie sull’inchiesta, per alcune settimane i giornali pubblicarono frequenti colpi di scena man mano che gli inquirenti scoprivano nuovi punti di intercettazione. Furgoni attrezzati per la ricerca di apparecchi posticci negli “armadi” di derivazione telefonica setacciarono a lungo le vie di Roma, e in seguito anche di Milano e di altre città. Fece scalpore quando furono rinvenute 50 microspie sulle linee del Quirinale, all’epoca occupato da Giovanni Leone; e poco dopo si capì che l’orecchio indiscreto arrivava fino alla Corte costituzionale, la cui sede è proprio di fronte alla residenza del presidente della Repubblica.

Come autori dell’operazione furono indagati, quasi subito, il detective Ponzi e un ex commissario della Criminalpol, Walter Beneforti, che aveva lavorato all’ufficio affari riservati del ministero dell’Interno ai tempi in cui il Viminale era guidato da Fernando Tambroni. Poi aveva anche lui messo in piedi delle agenzie di investigazione privata.

Vennero entrambi arrestati, e fu particolarmente tormentata la vicenda di Tom Ponzi: personaggio molto pittoresco, praticamente il creatore in Italia della figura dell’investigatore, simile a Nero Wolfe nella mole imponente e nel cervello arguto, protagonista anche di uno sceneggiato tv in cui incarnava un poliziotto. Ma anche un uomo al centro di rapporti assai poco chiari, e di simpatie dichiaratamente fasciste. Proprio questo suo orientamento politico, a suo dire, gli aveva negato dei pubblici riconoscimenti quando, nel 1956, aveva fatto un blitz in una scuola elementare di Terrazzano liberando una classe tenuta in ostaggio da due individui armati.

Un investigatore in fuga

Subito dopo l’arresto, a fine marzo, Ponzi ebbe un collasso e fu ricoverato. Altrettanto gli accadde il 10 aprile durante un confronto con Beneforti. Se fossero malori veri o inventati non si sa, sta di fatto che tempo dopo riuscì a fuggire a Nizza con la famiglia e vi rimase alcuni anni. In Italia nel frattempo l’inchiesta si sdoppiò col filone milanese, vennero trovati in una casa di Ponzi in Svizzera 52 scatoloni di bobine con le registrazioni illegali, e soprattutto spuntarono fuori le complicità di molti tecnici della Sip che avevano collaborato per piazzare le “cimici”. Ne furono arrestati o indagati almeno tre a Roma e una quindicina a Milano. Nei casi in cui era stato necessario, per sistemare gli apparecchi-spia, accedere a luoghi privati, pare che la tecnica utilizzata fosse quella del “disturbo”: si creavano artificialmente delle interferenze sulla linea da intercettare finché il titolare non chiedeva l’aiuto della società dei telefoni, e a quel punto si faceva in modo che l’intervento venisse affidato a uno dei tecnici corrotti.

Tom Ponzi (a destra) insieme al regista Massimo Scaglione
Tom Ponzi (a destra) insieme al regista Massimo Scaglione
Tom Ponzi (a destra) insieme al regista Massimo Scaglione

Se le indagini riuscirono a ricostruire in maniera abbastanza approfondita la rete di cui i due investigatori privati si servivano per così dire a valle, non approdarono invece a nessun risultato su quello che stava a monte: ossia i mandanti. Si parlò di una centrale di ascolto romana collegata al Viminale o ai soliti servizi segreti e un’altra creata da persone appartenenti alla guardia di finanza, ma non fu coinvolto alcun nome di spicco. Anni dopo, quando esplose lo scandalo della P2 di Licio Gelli, sorse il sospetto che anche nel Watergate italiano potesse entrarci la massoneria; rimase però appunto un mero sospetto, senza prove. Ponzi e Beneforti subirono una lieve condanna in primo grado (un anno e dieci mesi) e nel 1981, in appello, beneficiarono di un’amnistia. È evidente che non potevano aver ideato tutto loro due insieme a un manipolo di tecnici della Sip, ma il livello dei mandanti non fu mai toccato, e resta ancora oggi uno dei tanti misteri della storia recente d’Italia. 

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