Le carceri sarde scoppiano e il Covid sembra aver dato l’ultimo colpo di grazia, accrescendo malumori, tensioni e riducendo all’osso una pianta organica già compromessa da tempo. Ecco dunque le aggressioni ai poliziotti, i tentativi di suicidio dei detenuti, la difficile gestione di personaggi di spicco della criminalità organizzata anche stranieri, la sempre più complessa gestione dei trasferimenti dei carcerati nei tribunali e negli ospedali, oltre al servizio di piantonamento con le troppe insidie che nasconde (come avvenuto recentemente all’ospedale Binaghi a Cagliari, con un detenuto ricoverato che si è tolto la vita lanciandosi dalla finestra).

E se il bilancio fatto dalle organizzazioni sindacali alla fine del 2021 era “in rosso”, con l’inizio del nuovo anno la situazione non sembra destinata a cambiare. Anzi. Le proteste da parte degli agenti sono sempre più rumorose e la gestione dei detenuti desta maggiore preoccupazione. Le difficoltà poi di relazione con l’amministrazione penitenziaria regionale, come ribadito in più occasioni dai sindacati, non semplifica le cose. 

I boss italiani e stranieri

PolPen, Sappe, Osapp, Ul Pa Pp, Sinappe e Uspp avevano stimato una mancanza di oltre 500 agenti della Polizia Penitenziaria in Sardegna rispetto a quanto previsto dalla pianta organica.

Agenti della Polizia penitenziaria (foto archivio L'Unione Sarda)
Agenti della Polizia penitenziaria (foto archivio L'Unione Sarda)
Agenti della Polizia penitenziaria (foto archivio L'Unione Sarda)

Hanno manifestato tutta la loro preoccupazione e delusione in un sit-in davanti alla Prefettura di Cagliari. «Siamo pochi», hanno ripetuto i segretari regionali delle diverse sigle sindacali. «Le aggressioni agli agenti continuano inesorabili, la mole di lavoro è insostenibile, la presenza di elementi di spicco della criminalità organizzata italiana ed estera, insieme al numero esorbitante di detenuti psichiatrici, rappresentano un mix esplosivo. I poliziotti della Penitenziaria si sentono abbandonati».

La grande paura

Insomma andare a lavorare nelle carceri dell’Isola – trasformata, come ribadiscono i sindacati della Penitenziaria «in una gigantesca Asinara» – fa paura. Le aggressioni, riuscite o tentate, ai poliziotti sono numerose, così come le risse tra detenuti. Non mancano le rivolte o le proteste da parte dei carcerati per le condizioni in cui si trovano e per la gestione sanitaria, resa ora molto più complicata dal Covid. Le difficoltà aumentano per la presenza di detenuti “pericolosi”: veri e propri boss di organizzazioni criminali italiane, ma anche straniere, che devono essere gestiti con particolare attenzione. E proprio il virus ha ridotto ulteriormente il numero degli agenti tra positivi e chi, non molti, hanno rifiutato il vaccino.

Il caso Uta

Da fiore all’occhiello del sistema penitenziario a carcere da brividi visti i numeri delle aggressioni, dei suicidi e dei gesti di autolesionismo. Il carcere di Uta è troppo spesso nelle cronache per fatti non piacevoli.

Il carcere di Uta (foto archivio L'Unione Sarda)
Il carcere di Uta (foto archivio L'Unione Sarda)
Il carcere di Uta (foto archivio L'Unione Sarda)

I sindacati hanno un dato che certifica questo aspetto: «Il numero di eventi critici nell’istituto di Uta raggiunge indici al di sopra di ogni soglia di sopportazione. Nel 2020 gli eventi critici sono stati quasi il triplo rispetto al totale degli altri penitenziari della Sardegna».

Repartini dimenticati 

Lo scorso dicembre un episodio drammatico ha riproposto un altro problema, irrisolto: i repartini detentivi negli ospedali mai realizzati o mai aperti. Purtroppo è stato il suicidio di un detenuto ricoverato in ospedale a Cagliari, a far sollevare nuovamente il polverone. Con i sindacati all’attacco: «Nonostante le promesse non sono stati ancora assegnati i repartini detentivi ospedalieri per il ricovero dei detenuti negli ospedali di Cagliari, Sassari, Oristano, mentre a Tempio, nonostante sia pronto, non viene incredibilmente consegnato all’amministrazione penitenziaria. Gli agenti sono costretti a stazionare nei corridoi e i detenuti sono ricoverati con altri pazienti mettendo a rischio l’incolumità degli operatori e dei cittadini». I segretari Fais (Sappe), Cireddu (Uil), Murtas (Siappe) e Cara (Uspp), dopo quanto accaduto al Binaghi di Cagliari, hanno parlato di «tragedia annunciata» con «gli agenti che hanno cercato disperatamente di evitare che il detenuto riuscisse a lanciarsi improvvisamente dalla finestra priva di sbarre». Gli appelli al provveditore, al capo del dipartimento ai Prefetti e al presidente della Regione, uscente ed a quello attuale, così come agli assessori alla Sanità, hanno fatto scattare delle promesse «mai mantenute».

Dialogo complicato

Tra le criticità emerse c’è quella delle difficoltà nei rapporti con chi dirige gli istituti penitenziari nell’Isola. Alla fine dell’anno, Michele Cireddu, segretario della Uil Pa Polizia Penitenziaria della Sardegna, era stato perentorio: «L’emergenza è soprattutto nei numeri e nella mala gestione. Oltre alla carenza organica, che ha raggiunto indici allarmanti con meno di 1300 agenti su un organico previsto di 1800, alcuni istituti non hanno un comandante in pianta stabile o un direttore. Alcuni andranno in pensione. C’è il rischio che nella nostra Regione rimarranno tre direttori per gestire dieci istituti. Riteniamo che tutto questo sia letteralmente vergognoso e scandaloso».

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