Non solo Biden: l’establishment Democrat che fa apparire i Repubblicani dei giovanotti
Negli ultimi anni il ricambio generazionale nel partito di Kennedy, Clinton e Obama c’è stato, ma al contrario«Mi impegno a non fare dell’età anagrafica un tema di questa campagna. Non ho intenzione di sfruttare politicamente a mio vantaggio la gioventù e l’inesperienza del mio avversario». Era il 1984 e il presidente uscente Ronald Reagan si confrontava in un dibattito televisivo col suo avversario, il 56enne democratico Walter Mondale, già vicepresidente di Jimmy Carter. Reagan aveva 73 anni ma già all’inaugurazione del suo primo mandato, con 70 anni meno una manciata di giorni, era passato alle statistiche come il presidente degli Stati Uniti più anziano di sempre. La domanda sulla perdita di energie che l’invecchiamento porta con sé era la più prevedibile e la più scivolosa per lo stagionato repubblicano in corsa per un secondo mandato. Ma fra le doti che fecero di Reagan un fuoriclasse della politica c’era la presenza di spirito e quella battuta, scandita con espressione seria alla Buster Keaton, fece ridere di cuore non solo il pubblico in studio ma anche Mondale, e gli consentì di archiviare brillantemente una questione delicata (per poi vincere a valanga in 49 Stati su 50).
Altri tempi. Non remotissimi, almeno a guardare le date, eppure oggi che la presidenza sembra destinata nuovamente a uno fra Joe Biden e Donald Trump, rispettivamente 80 e 77 anni, con annesso corollario di perplessità sulla fragilità di entrambi ma soprattutto del primo, sembra un’era lontana quella in cui si poteva liquidare la questione dell’età con una battuta.
In effetti fino alle scorse elezioni quella per il potere americano spesso non era una partita fra anziani, e soprattutto non c’era simmetria anagrafica fra candidati di destra e di sinistra: considerando gli ultimi dieci presidenti prima di Biden, cioè da Kennedy in poi, cinque per partito, i Democrat sembrano nettamente più ricchi di facce giovani, con un’età media dei loro presidenti di 48,6 anni contro i 60,8 di quelli repubblicani.
Eppure nel giro di pochi anni è cambiato tutto. Al Congresso, tanto per cominciare, lo schieramento Dem è più attempato di quello repubblicano, sia pure di poco: secondo le elaborazioni di quorum.us l’età media dei senatori democratici è 64 anni contro i 62 dei repubblicani, mentre i democratici della Camera dei Rappresentanti hanno in media 57 anni contro i 56 dei repubblicani. Ma a segnare un’inversione generazionale nel partito di Kennedy, Clinton e Obama (arrivati alla Casa Bianca rispettivamente a 43, 46 e 47 anni) più che le medie statistiche sono alcuni singoli casi, molto significativi per l’età degli interessati e per il loro forte rilievo politico. La sensazione che spesso danno i patriarchi e le matriarche del Partito democratico non è solo di un tenace attaccamento al potere, ma soprattutto di un’ostinazione nel conservarlo anche considerazioni di opportunità e l’interesse della loro parte politica spingerebbero per un passo indietro.
Quanto a Joe Biden, incrollabilmente deciso a ricandidarsi anche se alla fine del secondo mandato avrebbe 85 anni, basta dire che nei giorni scorsi anche un commentatore del Washington Post progressista e molto stimato alla Casa Bianca come David Ignatius ha scritto che se si ritirasse «sarebbe la scelta più saggia per il Paese». Ma quello dell’anziano presidente uscente è solo l’esempio più noto. Andrebbe ricordato anche il caso della senatrice californiana Dianne Feinstein, morta novantenne il 29 settembre. Rieletta nel 2018, da tempo le condizioni di salute le impedivano spesso di partecipare alle sedute della Camera alta, dove i democratici hanno la maggioranza per un solo voto, e nonostante i ricorrenti appelli alle dimissioni appariva determinata a portare a compimento il suo mandato fino al 2025. È californiana anche una veterana dell’ala liberal come Nancy Pelosi: eletta alla House of Representatives dal 1987 in poi, è stata Speaker (la carica più simile alla nostra presidenza della Camera) dal 2007 al 2011 e poi dal 2019 al 3 gennaio 2023, quando i repubblicani hanno conquistato la maggioranza. Negli scorsi anni è stata protagonista di scontri espliciti con l’ala più giovane e radical dei Democratici, capeggiata dalla 33enne Alexandria Ocasio-Cortez, e nell’agosto del 2022 ha messo a repentaglio i delicatissimi rapporti fra America e Cina con una visita a Taiwan piuttosto sgradita alla Casa Bianca. È stata il volto più odiato dalla destra estrema, con gli aspiranti golpisti del 6 Gennaio che le davano la caccia nei corridoi del Campidoglio per farla fuori, e può dire di aver inciso come pochi altri nella vita politica del Paese. Ma nei giorni scorsi ha annunciato che si presenterà per un ulteriore mandato alle elezioni del 2024, quando avrà 84 anni.
Un caso molto significativo di permanenza nel ruolo fino all’ultimo momento, con conseguenze politicamente devastanti e nonostante i rispettosi suggerimenti a fare un passo indietro, non riguarda un’esponente del partito in senso stretto ma un’icona liberal come la giudice suprema Ruth Bader Ginsburg. Nominata da Bill Clinton nel 1993, fu a lungo il punto di riferimento per l’ala progressista dei nove Saggi, dettando la giurisprudenza più aperta ai diritti delle donne e delle minoranze. Si scoprì gravemente ammalata durante la presidenza di Barack Obama, che in caso di dimissioni l’avrebbe potuta rimpiazzare con un’altra toga progressista, ma provò a tenere duro, forse coltivando il sogno che sarebbe stata la prima presidente donna degli Stati Uniti, Hillary Clinton, a decidere sulla sua successione. Ma come sappiamo a prendere il posto di Obama fu, abbastanza a sorpresa, Donald Trump. Bader Ginsburg resistette per quasi tutto il quadriennio del presidente più a destra di sempre ma spirò il 18 settembre del 2020, neanche quattro mesi prima dell’insediamento di Joe Biden. Pochi giorni prima di morire dettò a sua nipote: “Il mio desiderio più ardente è che io non venga sostituita fino all’insediamento di un nuovo presidente”. Trump, neanche a dirlo, ignorò la richiesta e nei suoi ultimi mesi di presidenza, il 27 ottobre 2020, rimpiazzò la giurista progressista con la super tradizionalista Amy Coney Barrett. Era l’ultimo tassello che gli serviva – dopo aver nominato nel 2017 il conservatore Antonin Scalia con l’altrettanto conservatore Neil Gorsuch e nel 2018 il moderato Anthony Kennedy con il conservatore Brett Kavanaugh – per comporre la Corte Suprema a netta trazione tradizionalista, con sei giudici “di destra” su nove, che ha cancellato la sentenza Roe vs Wade, da cinquant’anni fondamento giuridico del diritto all’aborto delle donne americane, ma anche leggi di tutela ambientale, provvedimenti contro la diffusione delle armi e politiche di promozione sociale delle minoranze etniche.
Infine vale la pena di citare la rilevazione Washington Post-Abc News pubblicata il 24 settembre: 3 elettori democratici su 5 sono perplessi all’idea che Joe Biden si ricandidi, ma la sua età non sembra il problema principale per tutti; di certo non lo è per quell’8 per cento del campione che l’anno prossimo vorrebbe veder correre per la Casa Bianca il socialista Bernie Sanders, 82 anni compiuti pochi giorni prima del sondaggio.
È vero, a destra non ci sono solo giovanotti come il 45enne governatore della Florida Ron DeSantis: se Donald Trump vincesse le prossime presidenziali arriverebbe 82enne a fine mandato e il leader dei repubblicani al Senato, l’81enne Mitch McConnell, nei giorni scorsi ha impensierito il suoi compagni di partito con afasie e imbambolamenti improvvisi. Ma nel complesso, anche se l’animale simbolo dei democratici è l’Asinello mentre l’Elefante è la mascotte dei repubblicani, da quattro anni a questa parte sono gli eredi di Kennedy e Obama che sembrano avere più consuetudine con i pachidermi.