È la domanda che il dottor Maurizio Zanda pone sempre alle mamme che gli confidano la paura di vaccinare i figli: «Sa quanti bambini muoiono ogni anno di morbillo?». Trecentomila, dice il direttore della struttura complessa di pediatria dell’ospedale Brotzu di Cagliari. «Adesso saranno un po’ meno: 200, 150mila, e per un semplice motivo: in Africa sono stati portati i programmi di vaccinazione. Ma, quando c’è un vaccino a disposizione, anche la morte di un solo piccolo per una malattia così stupida è qualcosa di inammissibile».

Ne convince tante, il dottor Zanda. «È un lavoro che facciamo noi pediatri: siamo abituati a parlare di vaccini e sappiamo quali sono le malattie che hanno eliminato. Malattie come la poliomielite, il vaiolo, il morbillo, la difterite. Mio padre mi raccontava di bambini morti di difterite ai suoi tempi, mentre io, proprio grazie al vaccino, in trent’anni di esperienza non ne ho mai visto».

C’è il vaccino, vivaddio, ma s’è visto quanto poco ci vuole perché il morbillo torni a far paura. Nel 2019 in tutto il mondo si è registrata un’impennata di casi (con 207mila morti, secondo uno studio dell’Organizzazione mondiale della sanità e dei Cdc, i Centri di controllo della salute pubblica negli Stati Uniti), 600 i contagi in Italia tra gennaio e marzo. Cos’era successo? Era calata la copertura vaccinale, contraccolpo delle idee di tanti genitori no vax.

La legge Lorenzin del 2017 - che ha imposto l’obbligo vaccinale per varicella, pertosse, emofilo, rosolia, parotite e, appunto, morbillo; aggiungendoli a difterite, tetano, polio, epatite B già previsti nel calendario pediatrico - ancora non aveva dispiegato i suoi effetti. Senza vaccino i bambini più piccoli non possono essere iscritti al nido e alla scuola dell’infanzia, mentre per i genitori dei ragazzi dalla primaria fino ai 16 anni sono previste sanzioni fino a 500 euro - eppure c’era chi faceva resistenza.

Oggi va meglio. Nel 2020, rileva l’Istituto superiore di Sanità, «in Italia sono stati segnalati 103 casi di morbillo in dodici regioni: 52 a gennaio, 42 a febbraio, 9 a marzo; da aprile non vengono segnalati nuovi casi». In Sardegna nessun caso, e dipenderà pure dalle misure d’igiene anti Covid (lockdown e mascherine che hanno cancellato pure l’influenza) ma il merito va all’aumento della copertura vaccinale: se nel 2014 era immunizzato l’88 per cento dei bambini, adesso siamo arrivati al 93%, mancano quindi due punti percentuali allo scudo del 95% necessario, secondo l’Oms, per raggiungere l’immunità di gregge. In mezzo abbiamo una costante diminuzione delle infezioni, dai 100 casi del 2014 ai 45 del 2017, agli otto del ’18 e del ’19.

«Quel che noi pediatri abbiamo visto coi nostri occhi dovrebbe far sì che più nessuno abbia dubbi o paure riguardo ai vaccini», dice Maurizio Zanda. Alle mamme indecise e timorose racconta anche perché ai medici come lui, quelli che curano i bambini, non fanno più paura due particolari periodi dell’anno, la primavera e l’autunno. «Settembre e ottobre, marzo e aprile. Nel mio reparto avvisavo i colleghi più giovani: attenti che adesso arrivano le meningiti, e puntualmente arrivavano. Non è più così grazie ai vaccini: negli ultimi anni avremo visto sì e no due casi». Un sollievo e una speranza. «Per 30 anni abbiamo visto bambini morire di meningite. Bambini che la mattina stavano bene, erano a scuola e all’asilo, arrivavano in ospedale e morivano nel giro di due ore. Certo, i più riuscivamo a curarli e a guarirli, ma vedere un bambino che se ne va in un paio d’ore è un’esperienza devastante per tutti, figuriamoci per una mamma. Adesso molto è cambiato: la meningite da emofilo, che i bambini fanno alla nascita, non la vediamo da 25 anni. Sono rimaste per tanti anni le meningiti da meningococco, molto rare ma devastanti. Ebbene, quando è uscito il vaccino per il meningococco C abbiamo smesso di vedere questo tipo di infezione. Da cinque, sei anni abbiamo anche il vaccino per il meningococco B».

Quanto al vaccino anti Covid, mentre in Sardegna si registra il record nazionale delle somministrazioni nella fascia degli adolescenti sopra i 12 anni, il pediatra spera che «presto sia a disposizione anche per i bambini più piccoli. Ci sono studi ben avviati, bisogna aspettare che le autorità diano il via libera, ma io non vedo l’ora».

C’è una paura in particolare confidata dalle mamme indecise. Parlano di «una bomba di vaccini», esprimono il timore di un sovraccarico immunologico per i bambini che ricevono, fin da piccolissimi, gli antigeni di varicella, pertosse, emofilo, rosolia, parotite, morbillo, difterite, tetano, polio, epatite B. «Sono costretti a farli tutti insieme, mi dicono. Meno male, rispondo io, perché non devono fare sei punture separate. Non c’è alcun problema per i bambini. Il sistema immunitario è abituato a incontrare ogni giorno centinaia di antigeni, cioè le sostanze che ne stimolano la risposta. Pensiamo solo al fatto che, a neanche un anno, i bambini vanno al nido e in mezzo a tanti coetanei vengono ben presto a contatto coi virus. Un numero di virus ben superiore ai sei antigeni dei vaccini».  ​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​

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