Non è una questione di testa, per lo meno non solo. E neppure un’esclusiva del cuore. In questa storia di scienza e passione, dove c’è di mezzo un vino sorprendente, è difficile intercettare il confine tra i due piani. Per farla semplice si potrebbe dire che Umberto Cesari, fondatore dell’omonima cantina nata 58 anni fa sulle colline bolognesi, ne è la sintesi: sentimento e ragione. All’università di Bologna invece il compito di illuminare questo straordinario percorso. In pratica, un’unione molto speciale consumata tra i filari di una vigna tra, chiamiamolo, monsieur Merlot e la nobile romagnola Sangiovese. Quando lei si concede, il frutto di questa armonia è un gran bel figlio. Proprio vero, il Merlese nasce da un incontro.

LUNGIMIRANZA Si dice che i grandi vini nascono dai sogni. Umberto Cesari, in qualche modo, ne è la prova. Ha visto lontano. E con lui Cesare Intrieri professore emerito del Dipartimento di colture arboree, sezione viticola del centro interdipartimentale di ricerche viticole ed enologiche, Università di Bologna. La storia di Merlese ha un inizio: 1983. Così racconta Marisa Fontana, in quegli anni ricercatrice e oggi esperta agronoma ed enologa, autrice di numerose pubblicazioni, studiosa dei vitigni dell’Emilia Romagna: «Alla base ci fu un programma di miglioramento genetico classico di ibridazione intraspecifica. Nulla a che vedere con gli OGM - puntualizza - ma semplicemente una impollinazione guidata dall’uomo, tra vitigni diversi della stessa specie, per aumentare la biodiversità all’interno della popolazione, cercando, o meglio, sperando di trovare figli con caratteristiche migliorative rispetto ai genitori». Tutto molto naturale e sostenibile. Questa la sfida: perché non provare a far scoccare la scintilla fra due vitigni della spessa specie? Se si “parlano” forse ne può venir fuori qualcosa di buono e utile all’ambiente. Su questi due aspetti si investe tanto: risorse e anni. «L’idea di base da cui partì professor Intrieri per arrivare a Merlese fu quella di migliorare certi aspetti strutturali del Sangiovese, varietà principe della Romagna», continua Fontana. «Sangiovese è un’uva molto buona, ricca di mosto, produttiva, ma matura abbastanza tardivamente, ha il grappolo spesso molto compatto, con conseguenti problemi di marcescenza in prossimità della raccolta, e presenta un quadro fenolico più debole rispetto, ad esempio, ai classici vitigni bordolesi (Cabernet e Merlot)». Nella primavera del 1983 finalmente si combina. L’intervento dell’uomo fu basilare, ma tra i due evidentemente c’era intesa. I fiori di Sangiovese (vite utilizzata come porta-seme) vennero spennellati dall’équipe di Intrieri con polline di Merlot. A fine anno dagli acini dei grappoli prodotti da quella vite così impollinata, furono estratti i vinaccioli che a loro volta diedero origine a piantine di vite «con caratteri peculiari ereditati in modo diverso dai genitori», riprende Fontana. «Queste piantine sono state allevate e portate a produzione per valutarne il comportamento agronomico e le caratteristiche qualitative». In quella ampia “nidiata” c’era chi meglio di tutti «aveva ereditato il buono di entrambi i genitori». Così da quella super pianta «si è arrivati ad avere un piccolo vigneto per le prove di attitudine alla coltivazione e la valutazione enologica». Nel 2007 dopo aver raccolto analisi e dati è stato richiesto il riconoscimento della varietà al Ministero, inserita poi nell’elenco di quelle idonee alla coltivazione in Emilia Romagna. È il 2013. E siccome i figli sono altra cosa rispetto ai genitori, per non creare confusione si decise di battezzare quella nuova creatura con «il nome di Merlese: Merl(ot) con (Sangiov)ese».

Vigneto di Merlese (foto concessa)
Vigneto di Merlese (foto concessa)
Vigneto di Merlese (foto concessa)

L’IMPEGNO A ispirare il fondatore della rinomata azienda romagnola Umberto Cesari anche la necessità di trovare risposte corrette ed efficaci sotto il profilo agronomico e bio ai cambiamenti climatici. Merlese ha imparato bene dai genitori. Più tollerante agli stress ambientali: sopporta meglio del papà la siccità e resiste più della mamma alle piogge tardive. Basilari inoltre le «pratiche agronomiche innovative e sostenibili, nell’intento di ottenere quella resilienza che sta diventando condizione necessaria per la viticoltura di oggi», ricorda Marisa Fontana. Allevate su terreni calcarei con matrice argillosa, le vigne di Merlese producono appunto un’uva che eredita da Merlot una certa precocità e una capacità di resistenza superiore, rispetto al vitigno madre. Matura prima del Sangiovese, ma dopo il padre. Il grappolo di Merlese risulta più grande del Merlot ma leggermente inferiore del Sangiovese, spargolo quindi meno attaccabile da botrite.

IN CANTINA Il primo vino prodotto in purezza da Merlese è arrivato ad aprile dello scorso anno. Culla di questa sfida enologica, naturalmente, la Umberto Cesari. «Gli studi e le sperimentazioni portati avanti con l’Università di Bologna hanno richiesto tanto tempo e impegno», ha spiegato Giammaria Cesari figlio di Umberto, oggi alla guida dell’azienda. «Ma ci hanno consentito di arrivare a questo unicum dove teoria e pratica si incontrano alla perfezione. Un vino complesso, di grande struttura, bevibilità ed eleganza, che riafferma la volontà dell’azienda di guadare sempre avanti, percorrendo nuove strade proiettate verso il futuro». La buccia di Merlese può essere considerata un piccolo capolavoro della natura. Regala un bel colore al vino ed è «ricca di polifenoli oltre che maggiori sono i livelli di acido e di concentrazione zuccherina. Un’uva che porta con sé i profumi del Merlot e la forza del Sangiovese, con un tocco più gentile e meno spigoloso».

Umberto Cesari, definito l’ambasciatore del Sangiovese nel mondo, non ha fatto in tempo a firmare l’ultima pagina del suo sogno. C’è però quel vino romagnolo creato da un incontro tra due vitigni che racconta molto bene la storia di un grande signore del vigna e della sua terra.

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