#BeAsOne è il manifesto del Cagliari calcio che guarda allo sviluppo ambientale, economico e sociale. La società rossoblù, in questo senso, ha messo in campo una serie di iniziative. E, per celebrare la Giornata della memoria, ha scelto di raccontare una vicenda che non tutti conoscono, quella di Ernest “Egri” Erbstein, l’allenatore che portò per la prima volta il Cagliari in serie B. Una storia che comincia in quel lontano 1898 quando, in Transilvania, allora provincia dell’impero asburgico, nasce da famiglia ebraica Ernest Erbstein.

Quando ha appena due anni, si trasferisce a Budapest dove si diploma alla scuola superiore di educazione fisica ed entra in una società di atletica, il Budapesti Atle’tikai Klub. La società ha anche una squadra di calcio, il Bak Budapest che lo ingaggia come mediano. In quella squadra continua a giocare anche se, nel frattempo, può dedicare meno tempo allo sport dal momento che ha iniziato a lavorare come agente di borsa.

Ma nel 1924 la sua vita cambia: notato dagli osservatori dell’Olympia Fiume (squadra che poi cambia nome diventando Fiumana), si trasferisce in Italia: cinque gol in 18 presenze gli garantiscono l’interesse del Vicenza, squadra di serie B. Ma la sua carriera italiana non decolla perché, nel frattempo, il fascismo ha emanato la Carta di Viareggio che impedisce alla squadre italiane di utilizzare giocatori stranieri.

Decide allora di trasferirsi negli Stati Uniti dove viene ingaggiato dai Brooklyn Wandereres e dove può anche lavorare come agente di borsa. Ed è proprio a New York che si conclude la sua carriera da calciatore. Erbstein torna in Ungheria dove comincia a studiare calcio, cercando, in particolare, di carpire i segreti del football inglese, allora all’avanguardia.

E in Italia qualcuno si ricorda di quel giocatore che era un allenatore in campo. Viene ingaggiato dalla De Pinedo di Andria (quella che diventerà Fidelis Andria), poi si trasferisce al Bari e poi alla Nocerina. Porta la squadra campana a uno dei migliori risultati della sua storia, il quinto posto nel campionato di Prima divisione. Un traguardo tanto importante che nella città campana gli viene dedicato il viale che porta allo stadio.

E, finalmente, nel 1930, si trasferisce a Cagliari: i rossoblù vincono il girone F di Prima divisione, girone finale sud e ottengono, per la prima volta, la promozione in serie B: una cavalcata epica. Nello spareggio finale, il Cagliari pareggia per 1-1 in casa della Salernitana e, nella partita di ritorno, davanti ai diecimila spettatori dello stadio di via Pola vince per 2-1. L’anno successivo, i rossoblù ottengono un dignitoso tredicesimo posto.  Ma la serie B è un campionato troppo costoso e così la dirigenza deve privarsi dei pezzo pregiati, compreso quell’allenatore dei miracoli. La sua carriera prosegue a Bari, nella Lucchese e a Novara, con risultati sempre positivi.

Ma, nel 1938, il fascismo mostra la sua faccia più deteriore: le leggi razziali costringono Erbstein e lasciare Lucca e trasferirsi a Torino dove può iscrivere le figlie in una scuola privata. Guida i granata che, il 18 dicembre, conquistano la vetta della classifica. Ma proprio quella sera viene convocato in questura: deve lasciare l’Italia e il lavoro.

Sono momenti tremendi: raggiunge un accordo con il Feyenoord ma il treno che lo sta portando in Olanda viene fermato al confine. Gli viene impedito di entrare in quel Paese. Resta a lungo in Germania dove, in quanto ebreo, non può fare niente. Ma intanto il presidente del Torino Novo gli dà una grossa mano d’aiuto: grazie a lui riesce a riportare la famiglia a Budapest e lo stesso Novo gli trova un lavoro in un’azienda tessile del Biellese. Nel frattempo, continua a collaborare con il Torino a cui suggerisce l’acquisto di Valentino Mazzola ed Ezio Loik.

Ma non c’è pace per Erbstein, nel frattempo tornato in Ungheria: le truppe tedesche invadono Budapest e lui finisce in un campo di lavoro per la costruzione di strade e ferrovie (se non altro, riesce a evitare le prime deportazioni). Dopo poco riesce a fuggire e a ricongiungersi con la famiglia. E, di nascosto, raggiunge l’Italia dove resta sino alla fine della guerra.

Sarebbe una bella storia. Anche perché Erbstein diventa l’allenatore di quel Torino capace di conquistare cinque scudetti di fila. Di quel Torino da leggenda che, il 4 maggio 1949, termina in maniera tragica la sua gloriosa storia nelle colline di Superga.

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