Non più un delitto contro la morale pubblica ma contro la persona: ha compiuto 25 anni da poco la legge che ha cambiato il profilo giuridico della violenza sessuale in Italia. Una conquista che oggi sembra scontata (ma forse non a tutti) eppure fino al 15 febbraio 1996 lo stupro non era un reato contro la persona e ci sono voluti vent’anni, sei legislature e un impegno trasversale delle donne parlamentari di diversi gruppi perché venisse approvata la legge n.66 che rappresenta una svolta nel concetto di stupro come violazione della libertà sessuale. Fino ad allora la violenza era disciplinata dal codice Rocco, risalente al periodo fascista, che la definiva un delitto contro la moralità pubblica e il buon costume.

Le conquiste sotto il profilo del contrasto alla violenza di genere, che corrono parallele a quelle sulla parità tra i sessi, in Italia sono relativamente recenti e racchiuse in poco più di 50 anni. Nel 1968 viene abrogato, e solo grazie a una sentenza della Corte costituzionale, l’articolo del codice penale che punisce come reato l’adulterio della moglie. I giudici riconoscono per la prima volta che è una violazione del principio di uguaglianza. In base a quell’articolo, quindici anni prima, era stata arrestata Giulia Occhini, la “dama bianca” di Fausto Coppi, denunciata dal marito. Una storia che aveva riempito le pagine dei quotidiani e dei rotocalchi.

Nel 1975 entra in vigore il nuovo diritto di famiglia che, tra le altre cose, manda definitivamente in soffitta il concetto di potestà maritale. Fino ad appena 46 anni fa, la legge recitava così: “il marito è il capo della famiglia, la moglie segue la condizione civile di lui, ne assume il cognome ed è obbligata ad accompagnarlo dovunque egli crede opportuno fissare la sua residenza”.

Gli anni Settanta delle battaglie femministe portano il tema della violenza sessuale nelle piazze e non solo. Anni segnati dal monologo di Franca Rame, violentata per ritorsione politica, ma soprattutto dal film documentario “Processo per stupro” diretto da Loredana Rotondo e trasmesso nel 1979. «La vera imputata è la donna. – diceva in tribunale l’avvocata simbolo Tina Lagostena Bassi - E scusatemi la franchezza, se si fa così è per solidarietà maschilista, perché solo se la donna viene trasformata in imputata, solo così si ottiene che non si facciano denunce per violenza carnale».

Manifestazione contro la violenza di genere (foto Ansa)
Manifestazione contro la violenza di genere (foto Ansa)
Manifestazione contro la violenza di genere (foto Ansa)

Fino ad appena quarant’anni fa, il matrimonio estingueva il reato di violenza carnale e per cancellare una norma arcaica ci sono voluti ben quindici anni dal rivoluzionario gesto di Franca Viola che nel 1966, a 17 anni, in Sicilia rifiutò di sposare l’uomo che l’aveva rapita, tenuta segregata per otto giorni e violentata. Matrimonio riparatore e delitto d’onore erano previsti da due articoli del codice penale abrogati con la legge n.442 del 1981. Il delitto d’onore, tema di tanti film e romanzi, puniva con la reclusione da tre a sette anni chi cagionava la morte del coniuge, della figlia e della sorella “colti in illegittima relazione carnale” e “nello stato d’ira determinato dall’offesa all’onor suo e della sua famiglia”. Quel turbamento emotivo cancellato e poi occasionalmente ricomparso in qualche sentenza e troppi titoli di giornale.

Ma per affermare che lo stupro è un reato contro la persona ci sono voluti altri 15 anni di proteste, iniziative legislative e raccolte di firme. Decisiva l’alleanza trasversale delle donne che nel 1981 varano, facendo sintesi tra diversi testi elaborati negli anni, un progetto di legge firmato dalle parlamentari di opposti schieramenti che viene approvato il 15 febbraio del 1996. I punti più rilevanti, oltre al concetto della violenza contro la persona, sono la scomparsa della fattispecie di atti di libidine violenti (comprendendo nel reato di violenza sessuale ogni atto sessuale non desiderato), l’inasprimento delle pene (da 5 a 10 anni e da 6 a 12 per lo stupro di gruppo), la possibilità di costituirsi parte civile con gratuito patrocinio.

E altri 23 anni sono stati necessari per le ulteriori misure del Codice Rosso, approvato il 19 luglio del 2019 e che, tra le altre cose, ha allungato a 12 mesi il tempo per sporgere denuncia che fino ad allora era di sei mesi. Tempo decisamente più lungo degli otto giorni che sono sembrati “strani” a Beppe Grillo nel suo discusso video.

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