La disabilità diventa opportunità con le protesi in 3D di Maklo
Un designer tetraplegico dopo un incidente realizza ausili per se stesso e per gli altri al Niguarda di MilanoMaklo mentre disegna grazie alla protesi creata da lui stesso (foto concessa)
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L’incidente, terrificante, lo ha reso tetraplegico. Ad appena 27 anni. Ma non ha spento in lui la voglia di vivere e di affermarsi. Tanto da farlo diventare designer affermato, in grado di realizzare protesi in 3D utili a se stesso e ad altre persone che, come lui, hanno avuto in sorte un destino avverso. Abdeljalil Makhloufi, nato nel 1988 ad Ait Sedrate, Marocco, diviso tra Milano e il suo paese d’origine, da quando era un ragazzo ha coltivato la passione per la pittura murale e la calligrafia. Un giorno, mentre pedalava sulla sua bici un’auto lo ha travolto, non si è arreso. Nonostante le difficoltà incontrate è riuscito ad apprendere, da autodidatta, le tecniche che gli permetteranno di progettare e realizzare quelle protesi. Lo osservano alcuni terapisti occupazionali, che gli propongono di collaborare, mettendo a disposizione dell’Unità Spinale di Niguarda, il proprio “know how”.
«È incominciata così – racconta Maklo - un’esperienza di lavoro come designer, nella quale ho contribuito, col personale ospedaliero, alla realizzazione di ausili, atti all’autonomia dei pazienti degenti».
Ci racconta com’è riuscito ad affermarsi?
«Dopo un anno e mezzo di ospedalizzazione presso l’unità spinale di Niguarda ho cominciato il percorso di riabilitazione nel quale alcuni dei terapisti occupazionali mi hanno mostrato degli ausili fatti con materiali termoplastici. Tali ausili però hanno una durata limitata in quanto si rompono facilmente, poiché essendo modellati direttamente sull’arto, o sulla parte del corpo interessata, sono assai difficili da replicare in serie. Da questo la necessità della stampa 3d».
La sua passione lo ha spinto a realizzare questi ausili.
«Mi sono iscritto a un corso di modellazione 3d, ma data la mia impossibilità a seguire le lezioni in presenza, ho dovuto attendere molti anni che tale corso fosse disponibile online. Dopodiché ho deciso di scansionare da me e a mie spese il mio polso, ottenendone così un modello virtuale da utilizzare con il software di modellazione 3d, incominciando da autodidatta a realizzare ausili su misura che mi hanno permesso di tornare a scrivere e disegnare».
Poi l’interesse del Niguarda.
«Mi è stato proposto, dai terapisti occupazionali, di mettere le mie conoscenze a disposizione dei pazienti dell’unità spinale, lavorando dapprima presso l’associazione Spazio Vita, la quale ha stipulato con me un contratto annuale. Così ho iniziato a sviluppare i miei progetti, grazie alla strumentazione dell’associazione (stampanti 3d), per poi passare a collaborare come volontario, per l’unità spinale di Niguarda, con le medesime mansioni ed utilizzando la stampante 3d in possesso dell’ospedale. Ho voluto così “sdebitarmi”, nei confronti di chi mi ha aiutato a imparare a rendermi il più possibile autonomo nella sua vita».
Qual è il suo metodo di lavoro?
«La fase di prototipazione nasce dall’esigenza del paziente, per poi arrivare ad una fase studio per lo sviluppo della soluzione. Si inizia con la cosiddetta quotatura (misurazione) e subito dopo aver quotato si passa al software 3d, con il quale si crea l’oggetto da zero modellandolo al computer. In seguito si passa allo slicer (software stampa 3d), che permette di inserire i parametri di stampa relativi al progetto realizzato a computer. Infine si prova l’ausilio stampato in 3d sul paziente, insieme al medico e al terapista occupazionale, decidendo altresì il materiale più indicato alle fragilità del disabile e nel giro di due o tre fasi di prova, si giunge alla soluzione finale. Questo iter progettuale è assai innovativo e permette ai pazienti disabili di avere degli ausili fatti su misura, replicabili e non presenti sul mercato.
Il suo progetto ha riscosso consensi autorevoli.
«Si chiama Relate ed è stato presentato di recente alla Venice Design Week 2024 come il design che trasforma la disabilità in opportunità. Relate non è solo un progetto di design, ma una vera e propria piattaforma di relazioni: una rete di connessione umana e professionale in cui la cooperazione e la condivisione delle esperienze diventano fondamentali per abbattere le barriere fisiche e psicologiche. Al centro c’è l’idea che la progettazione non riguarda solo la realizzazione di oggetti funzionali, ma anche la possibilità di creare legami e relazioni che superano le differenze culturali, sociali ed economiche. Il progetto riflette un modello di inclusione e collaborazione, con applicazioni nel contesto sociosanitario e oltre, dimostrando come la tecnologia, unita all'ingegno umano, possa contribuire a migliorare la qualità della vita di chi vive con una disabilità».
Venezia è stata anche occasione per un bell’incontro.
«Abbiamo avuto un piacevole riscontro dai visitatori, i quali oltre ad essere venuti per vedere la mostra, hanno avuto la possibilità di conoscermi per due domeniche di fila. E io a mia volta ho potuto conoscere Vittorio Menditto (ragazzo tetraplegico che ha avuto la mostra prima di lui, ndc). Raccontandoci le nostre rispettive storie abbiamo potuto stringere amicizia».