L’amministratore di un sito internet non risponde dell’omesso controllo in materia di diffamazione a mezzo stampa, ossia il reato previsto dall’articolo 57 del Codice penale: “Salva la responsabilità dell'autore della pubblicazione e fuori dei casi di concorso, il direttore o il vice-direttore responsabile il quale omette di esercitare sul contenuto del periodico da lui diretto il controllo necessario a impedire che col mezzo della pubblicazione siano commessi reati, è punito, a titolo di colpa, se un reato è commesso, con la pena stabilita per tale reato, diminuita in misura non eccedente un terzo”.

Con una recente sentenza la Corte di Cassazione ha sottolineato, ancora una volta, che la norma è applicabile solo alle testate giornalistiche telematiche e non a blog, newsletter, mailing list, forum, facebook. L’unico limite è dato dal fatto che non risultino elementi che provano la compartecipazione dell’amministratore della pagina all’attività diffamatoria.

Il caso discusso dalla quinta sezione della Suprema Corte riguardava nello specifico fecebook: l’amministratore della pagina era stato ritenuto responsabile del reato dai giudici di merito ma non perché avesse scritto il post valutato offensivo, bensì perché nel corso del processo gli era stato attribuito un ruolo di controllo sulla pagina.

Ma la giurisprudenza sul punto si è già espressa più volte e in modo piuttosto chiaro: chi gestisce la pagina del social network è responsabile del reato di diffamazione solo ed esclusivamente quando sia provato il suo consapevole e volontario concorso nella diffusione del post. L’articolo 57 del Codice penale è infatti applicabile alle sole testate giornalistiche telematiche, ossia i “prodotti editoriali”, registrati in Tribunale, con un direttore responsabile, un editore e uno stampatore-provider. La registrazione è necessaria quando la rivista ha una regolare periodicità (quotidiana, settimanale, bisettimanale, trisettimanale, mensile, bimestrale), quando l'editore intende ottenere contributi statali e quando prevede di avvalersi di giornalisti professionisti, pubblicisti e praticanti. È necessario anche indicare il webmaster.

La Cassazione ha sottolineato che il blogger risponde di diffamazione aggravata sotto il profilo dell’offesa arrecata “con qualsiasi altro mezzo di pubblicità” per gli scritti di carattere denigratorio pubblicati sul proprio sito da terzi quando, venutone a conoscenza, non provveda tempestivamente alla rimozione, atteso che tale condotta equivale alla consapevole condivisione del contenuto lesivo dell’altrui reputazione e consente l’ulteriore diffusione dei commenti diffamatori.

La Cassazione sottolinea sul punto che, nel caso del direttore di una testata soggetta all’articolo 57, l’intervento sul controllo dei contenuti avviene prima della pubblicazione. Al contrario, chi gestisce i blog, i social e gli altri mezzi di comunicazione su internet può attivarsi soltanto dopo la pubblicazione. Ed ecco che, per esempio, l’omessa rimozione dello scritto diffamatorio può essere contestata al gestore della pagina nelle forme del concorso nel reato.

Nel caso sottoposto all’attenzione della Suprema Corte la sentenza di merito che aveva condannato il gestore della pagina facebook non aveva argomentato correttamente e compiutamente, avendo attribuito all’imputato il controllo sul contenuto del sito in termini congetturali e non anche sulla scorta di una massima di esperienza, ossia giudizi ipotetici a contenuto generale, indipendenti dal caso concreto, fondati su ripetute esperienze ma autonomi da esse, e valevoli per nuovi casi. Questi devono essere distinti dalle congetture, che sono ipotesi non fondate sull’id quod plerumque accidit e quindi, suscettibili di verifica empirica.

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