Chi vince la battaglia col cancro dovrebbe essere libero di guardare al futuro senza più l’ombra della malattia. Eppure quello spettro è sempre presente e non solo per il timore di una recidiva: è una sorta di discriminazione sociale per le molteplici difficoltà nell’accesso ad alcuni servizi. Per un ex paziente richiedere mutui, prestiti, assicurazioni e adozioni significa dover sempre fare i conti con il proprio passato e con la patologia avuta. Ed ecco perché è stato presentato un disegno di legge per il “diritto all’oblio oncologico”, che permetterebbe all’ex paziente di non dichiarare la malattia, come invece oggi è ancora obbligatorio per la stipula di molti contratti e la richiesta di alcuni servizi. Numerose le iniziative di sostegno di questo progetto a iniziare dalla raccolta di firme promossa dalla Fondazione Aiom (Associazione italiana di oncologia medica) con la campagna di comunicazione “Io non sono il mio tumore” per sensibilizzare l’opinione pubblica e le Istituzioni in questa battaglia di civiltà, adeguandosi inoltre alle normative già in vigore in altri Paesi europei.

L’aspettativa di vita

Un tempo il tumore dava poche speranze di sopravvivenza, oggi invece grazie alle terapie e alla prevenzione moltissime neoplasie sono curabili e altre hanno un’aspettativa di vita lunga. Secondo la Fondazione Aiom se in passato il tasso più elevato di mortalità dei tumori e le aspettative di vita più limitate determinavano, ad esempio, il rigetto della domanda di affido di un bambino per evitare di esporlo ad altra sofferenza rispetto a quella già provata, oggi la situazione è molto cambiata. Sono venute meno le ragioni che giustificavano le domande sullo stato di salute.

Un ricercatore in laboratorio (foto Archivio Unione Sarda)
Un ricercatore in laboratorio (foto Archivio Unione Sarda)
Un ricercatore in laboratorio (foto Archivio Unione Sarda)

Il miglioramento dei programmi di screening, la ricerca e le nuove terapie hanno fatto sì che molte neoplasie siano curabili. In base ai dati diffusi recentemente dall’Airc a cinque anni dalla diagnosi del tumore è ancora in vita il 59,4% degli uomini (la stima del 2020 era del 54%) e il 65% delle donne (63% nel 2020). Un paziente oncologico viene considerato “guarito” quando raggiunge la stessa attesa di vita della popolazione generale. I tempi variano in relazione alle diverse neoplasie (si va da meno di 5 anni per il cancro della tiroide ai 20 anni per tumori della mammella o della prostata e oltre 15 per linfomi non-Hodgkin, mielomi e leucemie). In Italia sono 3,6 milioni le persone che hanno avuto una diagnosi di cancro, circa 1 milione può essere considerato guarito.

Il disegno di legge

Al Senato è stato recentemente depositato il disegno di legge “Disposizioni in materia di parità di trattamento delle persone che sono state affette da patologie oncologiche” (prima firmataria la senatrice del Pd Paola Boldrini, vice presidente della commissione Sanità).

La proposta stabilisce il divieto di richiedere informazioni sullo stato di salute (e, in particolare, sulle patologie oncologiche pregresse) in sede di stipula di contratti di assicurazione, operazioni e servizi bancari o finanziari, indagini per l’affido di un minore, nel caso siano trascorsi dieci anni dal trattamento attivo e in assenza di recidive o ricadute della malattia; il termine scende a cinque anni se la patologia si è manifestata prima del ventunesimo anno di età.

L'aula del Senato (foto Archivio Unione Sarda)
L'aula del Senato (foto Archivio Unione Sarda)
L'aula del Senato (foto Archivio Unione Sarda)

La legge quindi permetterebbe di non considerare più un paziente oncologico, sancendo il cosiddetto “diritto all’oblio oncologico”, chi risulta guarito secondo quelle tempistiche. Negli ultimi due anni diversi Paesi europei hanno riconosciuto questi principi: in Francia, Lussemburgo, Belgio, Olanda e Portogallo si sono impegnati per dare vita alla legge che garantisca agli ex pazienti il diritto a non essere rappresentati dalla malattia e a non subire discriminazioni. Adesso la battaglia è partita anche in Italia per cercare di garantire che i pazienti oncologici sopravvivano alla malattia, ma che vivano una vita soddisfacente senza ulteriori ostacoli ingiusti.

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