Sarà uno dei tempi più importanti degli ultimi anni, un dilemma in bilico tra prospettive di sviluppo, conseguenze per l’ambiente e politica. L’Italia ha di fatto affossato la sperimentazione di carne creata in laboratorio. Una decisione ideologica, con argomentazioni che poco hanno a che fare con la realtà dei fatti. Specie se tutto il resto il resto del mondo ha comunque deciso di percorrere una strada alternativa a quella degli allevamenti intensivi. Per tanti esperti l’Italia perde la possibilità di fare ricerca in un campo dalle potenzialità infinite. Intanto in Europa e negli Stati Uniti la legge asseconda le aziende e i loro interessi. I pro e i contro sono evidenti. E anche i dubbi.

A giugno il Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti aveva approvato la produzione e la vendita di carne di pollo da parte di due aziende, Upside Foods e Good Meat, che inizialmente collaboreranno ognuna con un ristorante nella speranza di commercializzare altre carni coltivate in laboratorio e renderle disponibili nei supermercati e nei ristoranti.

La decisione del suddetto dipartimento ha reso gli Stati Uniti il secondo Paese, dopo Singapore, a legalizzare quella che viene comunemente ma forse in maniera impropria “carne coltivata” o “carne sintetica”. Il primo in Europa sarà la Svizzera.

Immaginiamo un settore che solo dieci fa rientrava nella pura fantascienza. Oggi negli Stati Uniti ci sono 150 aziende con un fatturato multimilionario. Ma perché siamo così interessati alla carne coltivata.

La produzione di carne coltivata consiste nel “prendere cellule da animali normalmente allevati per produrre carne e usare quelle cellule come ‘starter’ per far crescere la carne al di fuori dell’animale”,. Questa è la spiegazione che fornisce David Kaplan, direttore del Centro per l’agricoltura cellulare della Tufts University, un punto di riferimento in questo settore.

In un’altra definizione abbastanza nota viene descritta come: è “la stessa cosa della carne tradizionale”, ma “togliendo dal processo produttivo gli animali”.

Il primo step è quello di procurarsi cellule animali, spesso tramite biopsia di un animale vivo o appena macellato oppure prelevando delle cellule da un ovulo fecondato. Queste cellule vengono poste in mezzi di coltura per stimolarne la proliferazione;

Immaginate qualcosa di simile alla produzione della birra”, suggerisce Kaplan, “si tratta di proporzioni molto, molto grandi”.

Le cellule usate possono essere cellule staminali (che hanno la capacità di sviluppare quasi tutte le parti di un animale), oppure, per intenderci quelle che rigenerano e riparano i muscoli. Alcune cellule possono arrivare a riprodursi anche 30-50 volte prima che sia necessaria una nuova biopsia. Ma quello che è considerato il ‘Santo Graal’ è rappresentato dalle cellule ‘rese immortali’, ovvero cellule che attraverso una manipolazione o una mutazione genetica sono in grado di moltiplicarsi all’infinito senza bisogno di ulteriore tessuto animale fresco.

Che sapore ha la carne coltivata? Il risultato, in teoria, è un prodotto che ha l’aspetto, l’odore, il sapore e la consistenza della carne che siamo abituati a consumare, e che è disponibile in modo illimitato.

Se l’idea di mangiare carne cresciuta in laboratorio vi lascia perplessi, non preoccupatevi: non siete i soli. Il problema è che ci dimentichiamo di cosa mangiamo di solito.

Si stima che a livello globale ogni anno vengano macellati circa 70 miliardi di animali terrestri a scopo alimentare, di cui la stragrande maggioranza è rappresentata dal pollame (sono circa 300 milioni i bovini uccisi ogni anno). L’80% delle scrofe allevate per la produzione di carne suina negli Stati Uniti vivono per tutta la vita in gabbie di gestazione talmente piccole che gli animali non riescono nemmeno a rigirarsi.

A livello concreto, si dice che al gusto e all’odore la carne sintetica sia indistinguibile da quella vera, ma ancora non si è riusciti a ricreare la giusta consistenza. La natura fa le cose per bene, recitava un famoso slogan.

Tra le altre negatività, oltre la consistenza, è il prezzo.

La carne allevata in laboratorio è anche costosa. I costi unitari sono attualmente significativamente più alti rispetto all’alternativa tradizionale; secondo un’analisi, la carne di manzo coltivata in laboratorio potrebbe essere otto volte più costosa da produrre, sebbene i costi si siano notevolmente ridotti rispetto al primo hamburger realizzato in laboratorio una decina di anni fa.

In generale tutti gli istituti che studiano questa branca si dicono relativamente poco preoccupati dal problema dei costi, fiduciosi che diminuiranno con lo sviluppo del settore. La sfida pratica più grande al momento, dice, è trovare il modo di realizzare abbastanza prodotti per rifornire le cucine dei ristoranti e le corsie dei negozi di alimentari. È solo questione di tempo.
 

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