Il 27 marzo, decimo giorno di mobilitazione francese contro la riforma delle pensioni, a conquistare i titoli era il cartello “Anche la Gioconda sciopera”. Una trovata mediatica intelligente del sindacato Cgt per annunciare che anche il museo Louvre era coinvolto dalle proteste contro la svolta impressa (sostanzialmente per decreto) dal presidente Emmanuel Macron.

Ma il dissenso quel giorno andava ben oltre la brillante capacità comunicativa dei sindacalisti e le immagini della folla di dimostranti nelle strade di Parigi e delle principali città dell’Esagono: effettivamente un’ampia maggioranza di cittadini bocciava (e boccia ancora) l’innalzamento dell’età pensionabile dai 62 e 64 anni, e magari quel lunedì lo ha fatto in silenzio, senza scendere in piazza, riservandosi di esprimere il suo dissenso domani o dopo nelle urne. E quello stesso 27 marzo l’Ansa riportava i dati di un sondaggio realizzato dall’istituto Bva per la radio Rtl, con una pagella severissima per Macron. La popolarità del presidente a marzo è crollata di sei punti rispetto a febbraio, con appena un 28% di cittadini convinti dal suo operato, esattamente la stessa percentuale di sostenitori incassata dalla premier Elisabeth Borne.

Naturalmente, oltre all’eventuale ammirazione per la combattività dei francesi, la reazione di moltissimi italiani è stata e rimane di stupore infastidito: quanti di noi non metterebbero la firma per andare in pensione a 64 anni? In effetti a dare un’occhiata alle tabelle - in questo articolo si citano quelle elaborate dalla Cisl – i francesi anche con l’innalzamento programmato da Macron resterebbero dei privilegiati rispetto a gran parte degli altri cittadini dell’Unione europea. Solo i maltesi e gli slovacchi oggi si ritirano dal lavoro a 62 anni, a quota 61 troviamo solamente le donne croate (ma gli uomini vanno in pensione a 65), le donne lituane (61,8, ma gli uomini smettono di lavorare a 63,4 anni) e quelle ceche (62 anni, contro i 63 degli uomini). In un mondo previdenziale a parte troviamo la Romania, dove gli uomini vanno in pensione a 65 anni e le donne a 59,1, e la Svezia, dove teoricamente l’età minima per andare in pensione è 61 anni tanto per gli uomini quanto per le donne, ma poi nella realtà sono pochi ad approfittare di questa opportunità e la maggior parte dei cittadini lavora fin oltre i 65.

Per gli altri europei l’attuale trattamento francese è un sogno, e in molti casi lo sarebbe anche quello post riforma macroniana. La media Ue è il pensionamento a 64,4 anni per gli uomini e 63,4 per le donne, ma nazioni delle quali siamo abituati a invidiare il welfare in effetti hanno parametri piuttosto rigorosi. In Danimarca uomini e donne devono lavorare fino a 65 anni (esattamente come in Lussemburgo, in Belgio e a Cipro). Nei Paesi Bassi si sale un po’, con una soglia fissata a 65,3 anni per donne e uomini esattamente come avviene in Spagna, in Germania l’età del pensionamento è 65,4 anni senza distinzioni di genere, in Irlanda si arriva a 66 e in Grecia a 67 (anche se qui ci sono deroghe ed eccezioni che in realtà a volte consentono di scendere drasticamente fino a 55 anni per gli uomini e a 50 per le donne).

Ma c’è un punto che spesso non viene considerato quando si comparano le età pensionabili dei diversi Paesi. È la speranza di vita, che esattamente come la soglia anagrafica per avere l’assegno previdenziale varia molto da nazione a nazione. Eppure è un parametro significativo, perché se l’aspettativa di vita di uno slovacco è di 74 anni (quella di una slovacca invece mediamente è di 81) e quella di un francese è 80 (le donne in Francia invece in media vivono 86 anni), avremo un bel dire che slovacchi e francesi vanno in pensione alla stessa età, e cioè gli invidiabili 62 anni. In realtà il secondo ha mediamente davanti a sé 18 anni di vita sottratta alla fatica del lavoro (al netto degli acciacchi dell’età e di tutte le altre complicazioni che la vecchiaia comporta), mentre il secondo potrà godersene solo 12. Ed è vero che un lavoratore ungherese smette a 63 anni di faticare quotidianamente mentre uno tedesco continua fino ai 65 anni e mezzo, ma l’ungherese mediamente vivrà ancora per dieci anni mentre il neopensionato tedesco tendenzialmente ne ha davanti a sé quattordici. E la speranza di una lunga pensione aumenta ancora se anziché un lavoratore tedesco prendiamo in considerazione una lavoratrice, visto che in Germania mediamente gli uomini vivono 79 anni e le donne 84. Ma è vero anche che la speranza di vita delle donne dei diversi Paesi europei è decisamente più omogenea di quella degli uomini. Uno svedese mediamente vive 82 anni e un polacco 74, per fare un esempio, ma in media una svedese muore a 85 anni e una polacca a 82.

E il nostro Paese? Nel complesso sta meglio di tanti, ma dipende molto dal genere. Ipotizzando un’età della pensione a 67 anni (bisognerebbe tenere conto di deroghe, finestre temporanee e riforme imminenti, ma così almeno ci capiamo) contro una media europea di fine lavoro a 64,4 anni, essere italiani tutto sommato conviene, mentre essere italiane non è un gran vantaggio. Il lavoratore europeo medio ha davanti a sé dodici anni e mezzo di vita da pensionato, mentre una lavoratrice può aspettarsi di viverne diciannove e mezzo. Il lavoratore italiano invece vive in media quindici anni da pensionato, mentre la lavoratrice diciannove, cioè un po’ meno dell’europea media, che vive tre anni meno dell’italiana media ma va in pensione tre anni e sei mesi prima.

Se infine consideriamo che un francese mediamente vive 81 anni e una francese 86, e quindi anche dopo la riforma Macron avrebbero davanti a sé rispettivamente 17 e 22 anni di vita da pensionati contro una media europea di 12 anni e mezzo per gli uomini e 19 anni e mezzo per le donne, continueremo comunque a non capire perché quel lunedì fossero così arrabbiati.

© Riproduzione riservata