Sono i bambini, anime candide, i sacerdoti della festa di Ognissanti. Bussano di porta in porta e chiedono un dono in nome delle anime, ricevendo dolci, frutta secca, agrumi e caramelle. Che dicano “Dolcetto o scherzetto”, mutuando l’usanza americana, “Su mortu mortu” di Nuoro, “Is paisceddas” di San Sperate, o “Su prugadoriu” di mezza Barbagia, fa lo stesso. La radice di quest’usanza è la stessa: si tratta di un rito in suffragio delle anime. Gli antropologi lo riconducono alla ricorrenza che segnava la chiusura del ciclo agricolo e l’avvio del nuovo. Una festa che evocava la benevolenza dei defunti in un momento dell’anno in cui ci si preparava a una ripartenza, meglio a una rigenerazione.

Creature di confine
Credenze antiche e diffuse in tutto il mondo, dall’Europa all’Oceania, all’America. Perché sono i bambini i protagonisti di questo rito? «Perché venivano ritenuti creature in qualche modo liminali, cioè con un fortissimo legame col mondo dell’aldilà», spiega Felice Tiragallo, antropologo dell’Università di Cagliari. Il professore richiama un saggio di Claude Lévi-Strauss, “Babbo Natale giustiziato” (supplicié, in francese), in cui il più grande teorico dello Strutturalismo esamina, «le condizioni per cui nel secondo dopoguerra si sono innestate in Europa tradizioni, come appunto quella del vecchio che porta doni ai bambini, di provenienze statunitense. Una tradizione che, ha spiegato, di fatto è una sorta di appropriazione, di innesto nella tradizione americana di credenze dei popoli del Nord Europa, in base alle quali il dono ai bambini doveva tacitare le anime». Lévi-Strauss, spiega il professor Tiragallo, «dice che esiste una casistica molto vasta di pratiche di doni fatti ai bambini, radicate appunto in questa credenza del regalo fatto ai più piccoli per tacitare, venire a patti, con un livello spirituale potenzialmente negativo che può minacciare la continuità della vita».
Una sorta di patto con le anime, sul confine che separa la vita dall’aldilà. Lo spazio tra la luce e il buio, il tempo della rigenerazione.

La tavola apparecchiata
La zucca con la candela accesa, la lanterna simbolo della notte di Halloween, comunque, la ricordano ancora gli anziani di molti centri della Sardegna, da Quartu Sant’Elena a Gadoni. Ma è un elemento della tradizione dell’Isola ormai scomparso, mentre resiste ovunque l’usanza della preparazione dei dolci di Ognissanti e la questua dei bambini che chiedono un’offerta per le anime.
Papassinos, ossos de mortu e pane cun sapa, i dolci tipici di questo periodo dell’anno preparati con l’uvetta, le mandorle, le noci e il concentrato di mosto d’uva o di fichi d’India. In Ogliastra, così come in diversi paesi dell’Oristanese e del Cagliaritano veniva preparato anche un pane dolce, appunto del colore del mosto, che veniva servito a fette. Non è importante sapere cosa resta davvero dell’antica credenza per cui, nella notte del primo novembre, i morti tornano quaggiù. Certo è che ancora molte famiglie preparano la cena per le anime e lasciano la tavola apparecchiata di tutto punto come per la miglior festa. A Lula c’è un rito molto particolare: la confraternita delle anime prepara per nove giorni sos maccarrones de erritu (pasta di semola lavorata col ferro da calza) e li distribuisce col pane a tutte le famiglie del paese.

La questua nel paese

Con i dolci, un’usanza che accomuna tutta la Sardegna è la questua dei piccoli che bussano di casa in casa. Anticamente ricevevano frutti autunnali: mele, agrumi, castagne, noci e nocciole. Oggi caramelle e dolci. A San Sperate, paese di solide tradizioni contadine, è un’usanza mai interrotta. Qui si chiama is paisceddas ; mentre è su mortu mortu a Nuoro; petti coccone in Baronia ; e poi su pruadoriu, is animeddas, su pane ’e su toccu, su pane e su vinu, sos sonadores. In alcuni paesi, come Bitti (s’arina capute) e Orgosolo (sa candelaria ), questa tradizione viene spostata dal giorno dei defunti all’ultimo dell’anno. In Marmilla, in particolare a Villanovaforru, da ormai quindici anni si rievoca il rito di is doppiadoris: mentre le campane a morto risuonano in tutto il paese, i bambini bussano ai portoni e domandano: «Si fadeis is doppiadoris»?


 

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