Da promessa del calcio a 11 a realtà ed esempio nel calcio a 5. Ecco Gianluigi Asquer, Gigi per tutti. Classe 1971, lo scorso 31 maggio ha compiuto 52 anni eppure è ancora lì, nel rettangolo di gioco a sudare, segnare e regalare emozioni. E pensare che Asquer è arrivato al futsal tardi: a 27 anni. E non lo ha fatto per amore, ma praticamente costretto perché dopo la firma “a vita” con una società di calcio a 11 non riusciva più a cambiare squadra nonostante molte richieste anche interessanti. Ma una volta messo piede nel piccolo campo del futsal, e dopo le iniziali e inevitabili difficoltà, è stato un crescendo: una carriera invidiabile, per ora inimitabile, e in questa stagione 2023-2024 con la maglia della Leonardo l’avvio dell’avventura nella serie A2 élite con la maglia 28.

Fin da piccolo nel mondo del calcio, la possibilità di fare il salto nel professionismo, poi l’approdo nel futsal: una storia particolare la sua?

«Ho iniziato da bambino nella scuola calcio Gigi Riva. Poi mi sono trasferito con i miei genitori a Tuili e sono andato al Barumini. Sono cresciuto lì arrivando all’under 18 e all’esordio in prima squadra, in Promozione, a 16 anni: esordio con gol. Devo dire che sono arrivate subito delle richieste interessanti, anche dalla serie B, dalla Ternana. Ma all’epoca la firma sul cartellino era a vita. E le società che mi chiedevano non trovavano mai l’accordo con la mia. Sono rimasto per dieci anni lì. A 27 anni però volevo provare nuove esperienze: mi sono allenato al Selargius prima e poi con il La Palma di Bernardo Mereu ma ancora una volta non si è raggiunto un accordo sul mio cartellino. E così ho preso una decisione sofferta: cambiare sport».

Come è arrivato al calcio a 5?

«Disputavo dei tornei estivi e dopo quello all’Asso Arredamenti si è avvicinato Gianni Melis, allenatore del Cagliari Calcetto che giocava in serie A. Mi ha chiesto se volessi andare da loro. Ci ho pensato: era l’unico modo per essere libero e alla fine ho accettato. I primi mesi sono stati molto difficili: ho fatto tanta panchina e ci sono stati dei momenti in cui ho pensato di tornare al calcio a 11».

Invece?

«Ho tenuto duro: la caparbietà è una mia dote. E quando Gianni Melis mi ha fatto giocare, perché ero oramai pronto, non mi ha più tolto. E sono arrivate le prime gioie. Così è iniziata la mia nuova carriera che mi ha regalato le gioie più grandi».

Il successo più bello che porta nel cuore?

«La vittoria degli spareggi per salire in serie A1, in trasferta: tantissimi tifosi ci hanno seguito dall’Isola e festeggiare con loro, anche se fuori dalla Sardegna, è stato meraviglioso e indimenticabile».

Ha giocato in diverse squadre: quali compagni sono stati un esempio?

«Alessandro Usai, uno dei primissimi insieme a Diego Podda ad accogliermi nel Cagliari Calcetto. Mi ha aiutato in questo sport. È sempre stato presente. Un altro giocatore fondamentale per la mia crescita è stato Fabio Previdelli. Da avversario ho sempre ammirato alcuni fenomeni, sia stranieri che italiani».

Capitolo allenatori: cosa le hanno dato?

«Ne ho avuti molti. Sicuramente Gianni Melis, essendo stato il primo, mi ha insegnato molto, lanciandomi in questa disciplina. Poi Claudio Vaz Vieira: mi ha trasmesso il valore del lavoro duro per migliorare sempre. Ci sono poi Diego Podda, allenatore e grande amico, Mario Mura, una persona stupende, Chicco Cocco e ora Tony Petruso che mi sta facendo vivere la mia eterna giovinezza».

I suoi gol con tiro al volo su assist a pallonetto di Serginho sono conosciutissimi: ha trovato altri in grado di farle gli stessi passaggi?

«Serginho è stato l’artefice di tutte le mie gioie. C’è stata da subito una grande intensa: bastava uno sguardo per capirci. Lui aveva un piede fatato e io riuscivo a calciare bene al volo: mi metteva sempre il pallone nella posizione giusta. Incredibile. Sono stati dieci anni meravigliosi quelli trascorsi con lui. E no, non ho più avuto un compagno che scodellasse così bene il pallone. Inimitabile».

Cosa manca al calcio a 5 per fare il grande salto e colmare un po’ di più la differenza con il calcio a 11?

«Certamente l’insegnamento nelle scuole. Qui dovrebbe nascere la voglia dei bambini per avvicinarsi a questo sport. E poi la comunicazione: si parla ancora poco di futsal».

In Sardegna ci sono sempre stati numerosi “stranieri”: un valore aggiunto?

«Certamente. Ti danno tecnica, tattica, estro, forza, intensità e cattiveria agonistica. Senza di loro si perderebbe molto. Hanno fatto crescere tutto il movimento».

Cosa direbbe a un ragazzino per farlo giocare a futsal?

«Di provare perché è uno sport sano e di gruppo. Conosci tante persone ed è un ambiente pulito».

Quando potrebbe appendere le scarpette?

«Lo dico da troppo tempo: questo sarà il mio ultimo anno. E dunque non ci crede più nessuno. Ma lo sento un po’ più vicino. Sto continuando per i miei figli: soprattutto Emanuele, il più grande, ma anche la piccola, mi vogliono vedere in campo. E poi c’è mia moglie: la ringrazio perché mi dà sempre tanta forza. Ma passa il tempo e dovrei stare di più con la famiglia. Dunque vedremo. Intanto mi godo la Leonardo mi trovo benissimo perché è una società costruita benissimo dal presidente Donato Allegrini e da tutti i dirigenti. Sanno quello che fanno, ti senti a casa e cresci bene: l’ambiente ideale per i giovani. Si possono raggiungere traguardi importanti».

Una volta finita la carriera da giocatore cosa farà con il calcio a 5?

«Spero di rimanere nella società e in questo sport. Vedremo, ma ci devono ancora pensare seriamente: ora devo ancora giocare».

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