Un sovraccarico di contenuti che rende sempre più complicato scoprire immagini interessanti (quali siano poi è un altro discorso). Quegli algoritmi assurdi e bigotti (che sdoganano quasi ogni forma di nudità ma non i capezzoli di un seno femminile, esasperata pressione per la perfezione (che crea un’immagine falsa della realtà perfetta e invidiabile grazie ai filtri e ai ritocchi), poi presenza sempre più invadente della pubblicità (che rende più intrusiva l’esperienza di chi utilizza Instagram). E ancora: contenuti effimeri, con le stories che hanno spostato l’attenzione e portato a una diminuzione dell’engagement sui post tradizionali, rischio per la privacy, che ha incrinato la fiducia degli utenti, competizione sfrenata con Tik Tok, che sposta molte persone su questa piattaforma, infine i cambiamenti nell’interfaccia, sempre più frequenti, che confondono gli utenti.

Instagram, il re dei social è in crisi, crisi di identità in questo caso. Gli utenti sono sempre più scoraggiati e sempre meno decidono di utilizzare la piattaforma. Perché il social, nato come una piattaforma di condivisione di foto e momenti di vita quotidiana, è diventato altro. Un contenitore di bellezza e perfezione, dove vince chi ha la pelle più tirata, il lato b più bello, il sorriso più bianco, il vestito più figo. E se guardiamo le foto di cibo (foodporn), il discorso non cambia: chi ha mai visto un’immagine di un piatto di riso in bianco postata su Instagram alzi la mano. In vetrina ci sono solo piatti perfetti, decorati, colorati, accompagnati da bottiglie di vino costosissime. Spesso, anche se non sempre, sono un segno di autoproclamazione di ricchezza: il tutto nel segno della perfezione che il “nuovo” social impone.

Un’autorevole rivista americana ha scritto che “con Instagram l’estetica del corpo ha toccato l’apoteosi”. Tradotto: io sono l’immagine che posto, questo è il senso del selfie e delle altre foto pubblicate, il biglietto da visita per farsi conoscere online (per certificare al mondo la propria presenza, direbbero i maligni). E se la nostra immagine, immortalata in uno (auto)scatto o animata in un breve video, diventa l’unico mezzo per presentarsi, allora conviene eccome fare bella figura. Per questo sono stati inventati i filtri. Instagram (ma tutti i social) ne mettono a disposizione una miriade per ritoccare il volto: ci sono quelli che cambiano il colorito della pelle, quelli che la levigano, tolgono le imperfezioni, allungano le ciglia, sostituiscono il colore degli occhi e così via. “Le persone si mostrano, oltre che più seducenti, anche più felici di quanto lo siano veramente, generando un senso di inadeguatezza negli utenti che si sentono brutti o giù di morale”, dicono gli psicologi.

Che si può fare per restituire a Intagram la sua natura originaria? Prendere esempio dall’Inghilterra, se possibile, che ha vietato l’uso di filtri Instagram nelle pubblicità social di creme e trucchi, giudicandoli “fuorviante”. Generalizzando il divieto, potrebbe essere il primo passo di un percorso verso nuovi standard di bellezza più reali e raggiungibili. E’ evidente che Meta non si priverà mai dei filtri, ci fa una sacco di soldi grazie all’utilizzo da parte degli utenti. Ma se ogni singolo Paese seguisse l’esempio, rimodulandolo per settori, forse qualcosa cambierebbe?

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