Due sequestri di persona a scopo di estorsione consumati nella stessa regione e nello stesso periodo; un imputato condannato per entrambi i rapimenti; la richiesta molti anni dopo del riconoscimento del vincolo della continuazione fra i due episodi; un tribunale che, in veste di giudice dell’esecuzione, dice di no. Ma la Corte di Cassazione annulla quella decisione e rimette gli atti allo stesso tribunale affinché riconsideri tutte le circostanze.

I fatti sono questi: un tribunale con un’ordinanza aveva respinto la richiesta di riconoscimento del vincolo della continuazione tra i reati giudicati con due diverse sentenze diventate definitive oltre vent’anni fa.

Contro quell’ordinanza un imputato aveva fatto ricorso per Cassazione denunciando l’erronea applicazione della legge penale e processuale con correlato vizio di motivazione. Secondo la difesa dell’imputato la motivazione del giudice dell’esecuzione non contiene riferimenti specifici in ordine al caso concreto. E poi l’ordinanza non compie uno specifico esame dei fatti accertati nei giudizi di cognizione e giunge a un giudizio negativo che si fonda esclusivamente sulla mancata allegazione di specifici concreti elementi di prova da parte della difesa. Che sottolinea come, dalle sentenze di condanna, risulta che il sodalizio criminoso era composto dagli stessi coimputati in tutti e due i sequestri di persona che, pur commessi in luoghi differenti a distanza di quattro giorni l’uno dall’altro, sono stati ideati, programmati ed eseguiti dagli stessi coimputati con ruoli diversi organizzati prima.

In particolare, era stata segnalata l’emblematica commissione del furto di un veicolo in un luogo confinante con quello di nascita e residenza di un imputato per uno dei due sequestri.

Nel ricorso per Cassazione la difesa aveva richiamato la giurisprudenza di legittimità secondo la quale l’identità del disegno criminoso presupponeva una ideazione preventiva di tutti i fatti reato, almeno nelle rispettive linee essenziali negli aspetti principali, fin dal momento della risoluzione di commettere il reato, quantomeno dalla sua esecuzione.

Ebbene: per il sostituto procuratore generale presso la Cassazione il ricorso della difesa è fondato tanto che ha chiesto l’annullamento dell’ordinanza con rinvio al giudice di merito.

Sulla stessa linea i giudici: la prova del medesimo disegno criminoso è stata esclusa dal tribunale con una motivazione che riporta principi giurisprudenziali genericamente operanti in ordine agli oneri probatori e circa la qualità degli indici indicatori della sussistenza del medesimo disegno criminoso. Inoltre si riferiscono poche osservazioni relative all’omogeneità dei titoli di reato e alla diversità dei luoghi di commissione degli stessi. Tanto, senza prendere in considerazione, puntualmente, le circostanze devolute con l’istanza, relative all’esistenza di alcuni indicatori della potenziale riconducibilità delle violazioni a un medesimo disegno criminoso, al di là dell’omogeneità delle trasgressioni (sequestro di persona a scopo di estorsione e reati satellite, già unificati, in ciascuno dei due procedimenti) quali la prossimità cronologica delle violazioni e la prossimità dei luoghi di commissione dei delitti, oltre alla specificità del modus operandi di entrambe le vicende delittuose.

In definitiva, il tribunale aveva detto no alla continuazione a causa del mancato vaglio di alcuni elementi fattuali, quali il ristretto arco temporale, l’identità del bene giuridico leso, le analoghe modalità operative (oltre alla circostanza che per taluno dei reati satellite rispetto a quello di sequestro è già stata ritenuta l’unificazione in ciascuno dei due procedimenti).

Di lì l’annullamento dell’ordinanza e il rinvio per un nuovo esame nella piena autonomia dell’esito.

© Riproduzione riservata