Cenge, archi di roccia, tassi millenari e ponti e scale in legno per i passaggi dei pastori acrobati che da secoli hanno popolato il Supramonte di Baunei. A far diventare ancora più bella la passeggiata, distese di peonie appena fiorite. Il trekking di S’Istrada longa è impegnativo per il dislivello e la risalita ma regala emozioni uniche oltre a raccontare, lungo i circa nove chilometri del percorso, storie di vita che riemergono dalle rocce e anche dai passaggi più impervi. A iniziare dal pertugio aperto nel calcare dalla famiglia Carta di Baunei nel 1975 per permettere ai maiali, allevati allo stato brado, di evitare di cadere dalle rocce e raggiungere una zona dove il pascolo, tra aglio selvatico e terra umida, era particolarmente favorevole per l’allevamento dei suini.

Il percorso

Si parte dalla statale 125, la vecchia Orientale, tra Baunei e Silana, all’altezza del chilometro 170. Una strada bianca tra pianori verdi e nuraghi sui cocuzzoli, da percorrere per circa sette chilometri, porta a Su Loriscadorgiu, un altipiano poco dopo il bivio dell’ovile-rifugio della famiglia Carta. Il nome deriva dal termine utilizzato in sardo per indicare l’azione del “legare il bestiame” per la marchiatura o altre operazioni periodiche che i pastori erano soliti effettuare in gruppo. Il trekking, ben descritto e segnato nel libro “Sentieri del Supramonte” dal geografo nuorese Matteo Cara, parte da qui e inizia subito una lunga discesa, prima dolce fino ad alcuni tratti che invece provano i muscoli e le ginocchia. Le pietre del Supramonte segnano le articolazioni ma il percorso regala uno scenario bellissimo fin da subito, tra ginepri secolari, corbezzoli e lecci. Poi appaiono i primi tassi, che diventano sempre più grandi durante la discesa. Tronchi enormi salvati dalla razzia dei carbonai perché non servivano per ottenere “l’oro nero”, mentre i grandi lecci hanno resistito perché spesso facevano da riparo agli ovili per i maiali. E poi distese di ciclamini e di peonie i cui colori vanno dal rosa più intenso fino al bianco. Il pieno della fioritura della “rosa de monte” rende il percorso unico in questo periodo. Così come unica è la fenditura di Bacu Addas, tra le pareti di calcare, dove una rete in metallo ricorda appunto l’intervento dei pastori per evitare che il salto di decine di metri verso il fondo della valle diventasse letale per i maiali.

Sulla destra, dove il percorso si incunea per l’avvio di S’Istrada longa, una piccola targa ricorda appunto il lavoro della famiglia Carta, che nel 1975 aprì il nuovo pertugio tra la roccia per trovare nuovi pascoli ai maiali allevati, senza sapere che poi quel passaggio sarebbe diventato uno dei paradisi dei moderni “pellegrini” del trekking. Da lì infatti si apre un sentiero che poi ha più sbocchi ma soprattutto che permette un passaggio unico su una cengia. I brividi scorrono lungo la schiena, nonostante la larghezza di circa un metro permetta un passaggio agevole. Chi lo percorre però se lo ricorderà. E poi ancora giù fino a “Su Marinau”, un altro passaggio dove si può decidere se continuare la discesa fino al mare, verso la Codula di Sisine, oppure iniziare la lunga e faticosa risalita.

Il ponte

Chi opta per la discesa in spiaggia, pochi metri più in basso trova un’altra sorpresa. Il sentiero, sempre segnato da omini abbastanza evidenti, porta a una conca con una piccola grotta e una fenditura nella roccia sormontata da un ponte in legno. È l’opera d’arte dei “Giovani di Ardalafè”, un gruppo di anziani di Baunei che ogni anno regala qualche attività di volontariato alla comunità risistemando antichi passaggi, come “su scalone” che porta da Sa Ena e Bacu S’Orruargiu verso Cala Sisine. “Era stato abbattuto decine di anni fa per fronteggiare l’emergenza abigeato”, racconta il geografo Matteo Cara. Negli anni scorsi gli anziani hanno deciso di ripristinarlo regalando agli appassionati di escursioni una nuova emozionante via verso il mare.

L'arco di S'Orruargiu (foto Matteo Cara)
L'arco di S'Orruargiu (foto Matteo Cara)
L'arco di S'Orruargiu (foto Matteo Cara)

La risalita

Chi invece vuole chiudere il percorso ad anello e godere della vista di un’altra meraviglia della natura, S’arcada de S’Orruargiu appunto, inizia da questo passaggio sulla pietra calcare la lunga e lenta risalita. Il dislivello del percorso completo è di circa 900 metri e da qui l’ascesa è piuttosto ripida, a zig zag, con qualche passaggio tra le rocce da affrontare con agilità ma senza pericoli. A metà salita più o meno si apre uno scenario unico: dai tassi che ombreggiano il percorso, sulla sinistra spunta un arco e man mano che ci si avvicina ci si rende conto della sua maestosità. Gli alberi sotto, alti anche venti metri, sembrano cespugli quando si raggiunge la base del grande arco di S’Orruargiu e la parte alta fa paura per l’altezza e la presenza di elementi rocciosi che sembrano minacciare chi sta sotto. Il sole e le nuvole, dall’altra parte dell’arco, sono perfette per le foto da cartolina. E la fatica fatta per arrivarci sparisce in un attimo per poi riaffiorare lungo l’ultima parte del percorso, nonostante le pendenze tendano ad addolcirsi man mano che si sale. Alla fine, Bacu Urutzò prelude all’arrivo sull’altipiano da cui si è partiti, anche qui tra lecci e corbezzoli e piccoli ciclamini che colorano di viola le pietre bianche di calcare. L’anello si chiude, il trekking è concluso, ma lo stupore per una natura così aspra e selvaggia resterà per sempre.

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