Birmania, la guerra civile dimenticata: il generale uccide, l’Occidente tace
Nemmeno l’Onu sa quanti siano i civili morti dal 1° febbraio 2021, quando il generale Min Aung Hlaing è salito al potere con un colpo di StatoL’Occidente si autoassolve da tutto, per abitudine. Dal 2021 lo sta facendo anche con la guerra civile in Birmania. Un conflitto talmente dimenticato che non esistono nemmeno numeri aggiornati sulle vittime del regime. Da quattromila si arriva a 40mila, stando a questo o quel bilancio mai ufficiale che si trova su Internet. A oggi, nemmeno l’Onu sa con certezza quante croci e quanto sangue stia continuando a spargere il generale Min Aung Hlaing.
Occhiali da vista fissi sul naso e stellette al petto, il primo ministro è salito al potere nel 2021. Il suo fu un colpo di Stato, quando il Paese, che alle Giunte militari non ha mai fatto gli anticorpi, provava a risalire la china con Aung San Suu Kyi, vittoriosa alle elezioni del 2015 dopo quasi quattro lustri di detenzione. Tra carcere e domiciliari. Ma quel sogno è durato poco. Il 1° febbraio di tre anni fa, Min Aung Hlaing si è messo al comando delle forze armate dando origine alla più lunga guerra civile da quando il Paese ha trovato l’indipendenza dalla Gran Bretagna nel 1948.
A difendere la Birmania dal sanguinario dittatore sono rimasti solo i birmani. I giovani, i giovanissimi. Provano a salvare il Paese e il loro futuro – su 54 milioni di abitanti, un decimo sono bambini senza pane, istruzione e cure mediche -. Le milizie etniche le stanno organizzando ragazze e ragazzi, spesso in trincea con vecchi sandali ai piedi. Ci sono i Karen, i Karenni, i Kachin, i Chin, i Shan e gli Arakan. Tutti popoli che, a dispetto di una classe dirigente crudele, hanno sempre cercato di vivere pacificamente in mezzo a monaci e templi. Il buddismo come religione di Stato, la vecchia capitale Rangoon sostituita dal 27 marzo 2006 con Naypyidaw, la “dimora dei re” voluta dai militari, una artefatta di una luccicante nazione che non esiste.
I birmani stanno facendo tutto da soli. Hanno organizzato un governo clandestino di unità nazionale, il Nug, per tentare di arginare l’avanzata dell’esercito nazionale. Le truppe etniche si sono chiamate Pdf, People’s defence force. Forza di difesa popolare. Ragazze e ragazzi si stanno addestrando nella giungla, al confine con la Thailandia. Si preparano anche per dare la libertà alle migliaia di birmani che l’esercito del generale Min Aung Hlaing ha arrestato. E lì le chiavi delle celle le buttano davvero. E sono altri innocenti che non hanno nemmeno diritto a un processo. A una difesa. Come in ogni regime, le sentenze sono farse che durano pochi minuti.
La Birmania, grande ventotto volte la Sardegna, ha oggi una delle peggiori economie del mondo. Ma con un passato glorioso. È stato il primo esportatore di riso al mondo. Durante l’occupazione inglese, vendeva petrolio attraverso la compagnia nazionale Burmah Oil. Produceva il 75 per cento del teak mondiale e la gran parte della popolazione era alfabetizzata. I maggiori investitori esteri sono Cina, Singapore, Corea del Sud, India e Thailandia. Ma neppure gli Stati asiatici, di fatto i vicini di casa, sembrano interessati al destino della Birmania, che non ha abbastanza energia elettrica nemmeno per soddisfare il bisogno interno. Però continua a essere il secondo produttore mondiale di oppio e di narcotizzanti. Anfetamine incluse. Per contenere la fame, i birmani sono costretti a masticare il betel, una palma proveniente dall’India e le cui noci vengono mischiate alla calce e al tabacco. Si ricava uno stimolante naturale che crea dipendenza e alla lunga provoca il cancro alla bocca e all’esofago.
L’ultima volta che l’Onu ha detto qualcosa sulla Birmania era il 30 gennaio scorso, vigilia del terzo anniversario del colpo di Stato. «Esorto tutti gli Stati membri – disse l'Alto commissario per i diritti umani, Volker Türk – ad adottare misure adeguate per affrontare questa crisi, inclusa la possibilità di imporre ulteriori sanzioni mirate verso i militari per limitare la loro capacità di commettere gravi violazioni e ignorare il diritto internazionale». Ma anche «per limitare l'accesso alle armi, al carburante per aerei e alla valuta estera». Dichiarazioni d’intenti. Niente di più. Di certo nulla di operativo né di realmente concreto. Da gennaio a oggi in Birmania è cresciuto solo il senso di solitudine di quei giovani che ipotecano la propria vita contro la Giunta militare di Min Aung Hlaing. La Birmania è geograficamente troppo lontana per interessare all’Occidente.