Via gli ormeggi, le navi armate di potenti arpioni hanno lasciato i porti del Sol Levante per dirigersi vero le zone di caccia. Per le balene saranno tempi veramente terribili. Ancora una volta, dopo l'abbandono da parte del Giappone dell'Iwc, la commissione internazionale per la caccia ai cetacei proposta nel 2019 dopo l'annuncio dato l'anno prima. Fini commerciali, così la dichiarata motivazione, che spazza via anche l'ipocrita giustificazione della "caccia sostenibile" e ancora di più quella della cosiddetta "necessità scientifica". Quattro navi sono salpate alle prime ore dell'alba del 3 aprile dalle città di Hachinohe e Ishinomaki, nelle prefetture di Aomori e Miyagi, a nord dell'arcipelago. Una quinta baleniera solleverà le ancore a giugno, lasciandosi a poppa dall'isola più a nord dell'Hokkaido, come ha annunciato l'Agenzia nazionale che racchiude le cooperative dei pescatori. Obiettivo: 120 balenottere nella costa di Sanriku, sul versante nord orientale del Paese, nei prossimi due mesi, prima di spostarsi nell'Hokkaido fino al termine di ottobre. 
Era il 1982 quando il governo di Tokyo dovette interrompere la caccia commerciale delle balene, in ottemperanza della moratoria adottata dall'Iwc. Nonostante ciò, nel 1987 le imbarcazioni nipponiche continuarono a sopprimere piccole quote di balene per questioni che il governo allora "abbattimenti legati alla ricerca scientifica". Di fatto, come denunciarono le organizzazioni ambientaliste internazionali ma anche esperti ricercatori, dietro la motivazione delle autorità giapponesi si nascondeva la volontà di sostenere l'industria della carne di balena che, ancora oggi - malgrado il repentino calo delle vendite - è considerata una fonte alternativa e a buon mercato di proteine. 
«Le balene - sostiene da molti anni Greenpeace, da sempre in prima fila contro la strage dei cetacei - sono ritenute sempre più cruciali per il ruolo che hanno negli ecosistemi oceanici e il whale watching cresce ovunque nel mondo, mentre il consumo di carne di balena continua a declinare. È una caccia insensata: questi splendidi animali sono già a rischio per via dell'inquinamento, la pesca eccessiva e i cambiamenti climatici». 
Un massacro anacronistico che deve finire. Così Greenpeace definisce senza mezzi termini la caccia ai grandi cetacei misticeti. «Balene, balenottere, megattere, sono tra gli animali più affascinanti del pianeta, dalla intensa vita sociale e sviluppata comunicazione: massacrarli per un uso commestibile è un eccidio che dobbiamo contrastare con tutti i nostri mezzi», aveva denunciato già nel 2018, alla ripresa della caccia decisa dal Giappone. 

Una balenottera nel Mediterraneo (archivio L’Unione Sarda)
Una balenottera nel Mediterraneo (archivio L’Unione Sarda)
Una balenottera nel Mediterraneo (archivio L’Unione Sarda)


Al di là degli abbattimenti mirati, la popolazione mondiale dei mammiferi marini è già fortemente "offesa" dagli altri sistemi di pesca. Il bycatch, ovvero le cattura accidentale, uccide ogni anno circa 300mila balene e delfini. Morti a cui si aggiungono quelle determinate da collisioni con le navi e ancora di più l'inquinamento del mare. Un "mare di plastica" che sempre più spesso finisce negli stomaci di questi giganti ma anche in animali più piccoli come le tartarughe marine (le buste vengono scambiate per meduse, cibo prediletto di carette e tartarughe verdi). Per non parlare poi delle microplastiche, materiali che entrano nella catena alimentare e arrivano fino all'uomo. Proprio lo scorso anni i ricercatori Alessandro Cau, Claudia Dessì, Davide Moccia, Maria Cristina Follesa e Antonio Pusceddu del Dipartimento di scienze della vita e dell'Ambiente dell'Università di Cagliari, in collaborazione con colleghi dell'Università Politecnica delle Marche, avevano resi noti i risultati di uno studio sulla presenza di questi frammenti contaminanti nei gamberi e negli scampi, tra le specie più ricercate tra i prodotti ittici per il consumo alimentare. 
La commissione L'Iwc, International Whaling Commission, fu istituita nel 1946 per coordinare l'industria baleniera nel mondo. Per trent'anni e passa l'organismo non intervenne mai per ridurre lo "sforzo di pesca" impresso dalle baleniere sulla popolazione dei mammiferi del mare. Anni nei quali oltre due milioni di balene vennero uccise. 

I militanti di Greenpeace\u00A0(foto Greenpeace)
I militanti di Greenpeace\u00A0(foto Greenpeace)
I militanti di Greenpeace (foto Greenpeace)


Negli anni Ottanta, anche grazie alle pressioni della comunità internazionale e delle associazioni ambientaliste (i "guerrieri verdi", come si battezzarono allora i militanti di Greenpeace, si diedero di fare parecchio per impedire la cattura delle balene sfidando le immense navi giapponesi e norvegesi), si cominciò a prendere in considerazione l'ipotesi di fermare lo sterminio. Nel 1982, la firma della moratoria. La strage non finì di certo. Nel 1986 proprio l'Iwc proibì in tutte le acque del Pianeta la caccia alle balene, consentendo abbattimenti per la ricerca scientifica. Giappone, Norvegia, Islanda, ma anche la Russia e la Corea fecero uscire le baleniere e i numeri della strage superarono le 20mila unità. 
Una mattanza di balenottere e delfini che Greenpeace raccontò per la prima volta con uno straordinario documento filmato dal titolo "The cove", spingendo sempre più l'opinione pubblica mondiale ad un impegno contro la "strage delle innocenti". 
 

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