«Quante pistole servono per farci sentire tutti al sicuro»? Non è una domanda banale, soprattutto se a formularla è Stephen King, il grande scrittore americano, e se l’interrogativo riguarda proprio gli Stati Uniti. In una sorta di pamphlet - “Guns, contro le armi” (Marotta&Cafiero, 110 pp., 15 euro) – l’autore spiega in maniera semplice, brillante e piacevole cosa sta accadendo negli Usa e cosa il Governo potrebbe cominciare a fare per limitare l’escalation di morti nelle scuole, nelle chiese e nei locali del Paese. Stragi che contano giovanissimi tra i responsabili e hanno un comune denominatore: le armi automatiche e d’assalto.

Per fermare queste azioni, sostiene King, occorrerebbe un approccio diverso da parte di tutti. Dall’informazione, intanto, che continua invece a raccontare con il medesimo clichè da anni, quasi che uccidere venti o trenta ragazzi in un liceo sia un evento ineludibile e ciclico nelle dinamiche della quotidianità. La solita indignazione, la cronaca dei fatti, i focus sull’assassino o sugli assassini, le interviste ai sopravvissuti e agli esperti e via via riordinando la scaletta dei servizi in base all’importanza. E poi la Nra (National Rifle Association), l’organizzazione a favore dei possessori di armi - di solito attende la fine del clamore mediatico – che interviene per sostenere che simili eventi drammatici siano riconducibili “alla cultura della violenza americana e all’assassino”. Magari puntando il dito sul fallimento di psicologi e servizi sociali che non sono stati in grado di individuare, quindi fermare, i mostri che sterminano le scolaresche.

Quelli, cioè, come Adam Lanza che nel 2012, alla Sandy Hook Elementary School, uccise 20 bambini tra i 6 e i 7 anni, e altre 7 persone. Con sé aveva una Bushmaster Ar 15 e una Glock calibro 10, ovvero un fucile semi automatico e una pistola automatica che la madre del ragazzo (Lanza era un ventenne) deteneva regolarmente. Inutile aggiungere che, prima del micidiale assalto alla scuola, la donna è stata uccisa dal figlio. La riflessione di King è partita proprio dal massacro di Newtown, Connecticut, l’ennesimo e, purtroppo, seguito da diversi altri.

L’autore ricorda che il suo primo romanzo “Ossessione” (scritto nel 1966 ma pubblicato solo nel 1977) venne ritirato dalle librerie e non venne più ristampato. Raccontava di un liceale bullizzato che, armato, tiene in ostaggio un gruppo di studenti e alcuni insegnanti mentre i cecchini della polizia lo tengono sotto tiro. Riusciranno a ferirlo e a salvare i ragazzi. Due ragazzi, dopo aver letto “Ossessione”, hanno deciso di seguire le orme del protagonista, in un caso ci sono state delle vittime. Ecco la ragione per cui King ha chiesto e ottenuto che il volume non venisse mai più esposto e venduto nelle librerie.

«Quanti americani devono ancora morire prima che si abbandonino questi pericolosi giocattoli»? Visto e considerato che il secondo emendamento (garantisce il diritto a possedere un’arma) della Costituzione degli Stati Uniti è pressoché intoccabile, nonostante risalga all’epoca delle colonizzazioni inglesi e spagnole, Stephen King espone alcune proposte sensate: controllo completo e generale dei precedenti, che ora non viene fatto, divieto di vendita di caricatori con capacità superiori a 10 colpi e delle armi d’assalto. Sarebbero misure ragionevoli ma difficilmente attuabili a causa delle pressioni che i produttori di armi esercitano sul Congresso.

Barack Obama aveva provato ad apportare delle modifiche al commercio delle armi in modo da limitarne la diffusione. Tutto inutile. Eppure ci sarebbero i dati che non ammettono dubbi e riserve: nelle sparatorie con armi automatiche e d’assalto <viene colpito il 155% di persone in più rispetto ai piani degli assalitori>. E ancora: avere un’arma in casa aumenta il rischio di suicidi del 300%. E non pare che otto, tra bambini e adolescenti, rimangano feriti tutti i giorni da colpi d’arma da fuoco esplosi per errore tra le mura domestiche. O che ogni 16 ore, una donna venga uccisa con una pistola o con un fucile dal suo compagno o da quello precedente.

In teoria, questi numeri potrebbero essere una buona base di partenza per una discussione serena sul da farsi. Invece no, gli Usa continuano a mostrarsi refrattari all’argomento, convinti dalla propaganda aggressiva e persuasiva di una destra sempre più populista e demagoga nonché finanziata con importanti iniezioni di denaro dai produttori di armi. Ma tutto questo all’autore di “It” non importa. A 74 anni Stephen King prova a riaprire il dibattito sul tema, con quali risultati lo si vedrà in futuro.

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