Dove può arrivare la stupidità umana? Troppo spesso alla bellezza. E l’esito è funesto quando quell’eterna armonia che innesca estasi e incanto incontra fenomeni di castronaggine. Ne sa qualcosa il povero Antonio Canova, il più grande scultore del Neoclassicismo, l’artista capace di regalare ai marmi quella «nobile semplicità e quieta grandezza», tanto cara a Johann Joachim Winckelmann, teorico del movimento culturale che predicava compostezza e che si sviluppò tra il Settecento e l’Ottocento. Per Canova si potrebbe parlare di vera e propria dannazione. Originario di Possagno, provincia di Treviso, di lui ricorrono in questo 2022 i duecento anni della morte, avvenuta a Venezia il 13 ottobre 1822. Aveva 65 anni, era nato il primo novembre 1757. Le sue opere, più di altre, hanno dovuto sopportare sventura e sciagure a causa di una malefica congiuntura. Come quella recentissima macchinata a fine luglio 2020 da un vero “campione” austriaco, un turista 50enne che, per portare a casa un selfie, è riuscito a sfregiare la Paolina Borghese, statua capolavoro di Canova. Ma questo è solo l’ultimo disastro di una lunga incredibile serie.

LA MALEDIZIONE DEL CANOVA. Il 2 agosto 2013 durante uno spostamento del bassorilievo raffigurante La morte di Priamo, conservato nell’Accademia di belle arti di Perugia, accade l’impensabile: un imbarazzante scivolone e l’opera finì in frantumi. Verso le 11.20 circa l’impresa specializzata nel trasloco di opere d’arte aveva iniziato a smontare le staffe di sostegno del bassorilievo canoviano. Il capolavoro era in partenza, direzione  Assisi per la mostra dedicata allo scultore veneto. Ma qualcosa andò storto. La lastra, a causa dello sbilanciamento di un operaio che trafficava sopra una scala, si frantumò sulla colonna metallica del muletto-sollevatore utilizzato nelle operazioni di smontaggio. «Il bassorilievo stava per essere calato a terra, ma è invece caduto frantumandosi», spiegò in quei giorni una nota del consiglio di amministrazione dell’Accademia. Dopo un anno di restauri e indagini su quel disastro ritenuto da molti critici «artisticamente irrecuperabile», il gesso venne assemblato. L’opera La morte di Priamo era stata realizzata da Canova tra il 1787 e il 1792. Un gesso mai riportato in marmo. Era stato donato dagli eredi di Canova all’Accademia di Perugia nel 1829.

Paolina Borghese Bonaparte, modello originale in gesso, Antonio Canova. Fonte Ansa
Paolina Borghese Bonaparte, modello originale in gesso, Antonio Canova. Fonte Ansa
Paolina Borghese Bonaparte, modello originale in gesso, Antonio Canova. Fonte Ansa

ASBURGICI PARTE PRIMA. «Il turista austriaco ha ritenuto di mettersi in posa per una foto di opportunità sedendosi sulla Paolina Borghese, spezzandole le dita del piede. Chiedo chiarezza e rigore alle forze dell’ordine e alla magistratura, individuando con gli strumenti di sicurezza il vandalo incosciente e non consentendogli di rimanere impunito e di rientrare in patria. Lo sfregio a Canova è inaccettabile». Così sbottò Vittorio Sgarbi, presidente della Fondazione Antonio Canova, in una intervista all’Ansa quel primo agosto 2020. La Paolina Bonaparte canoviana, oggetto dei desideri social di quel turista sedutole sopra le gambe, si ritrovò con le dita del piede frantumate. La clamorosa sventura si consumò nel Museo Gypsotheca di Possagno dove è conservato il modello in gesso della scultura in marmo custodita invece nella Galleria Borghese a Roma. Paolina Bonaparte Borghese come Venere vincitrice, eseguita tra il 1804 e il 1808, raffigura la sorellina 25enne di Napoleone e moglie di Clemente Borghese, nelle sembianze di Venere vincitrice. Maliziosamente distesa su una agrippina (una sorta di chaise longue) tiene nella mano sinistra la mela che richiama la vittoria della dea nel giudizio di Paride. L’episodio è tratto dalla mitologia greca. Le tre dee Era, Atena e Afrodite per mettere fine al dilemma su chi fosse tra loro la più bella, decisero di affidarsi al giudizio dell’avvenente Paride. Il quale assegnò un pomo d’oro con sopra inciso “Alla più bella” appunto alla dea dell’amore.

ASBURGICI PARTE SECONDA. Sul finire del 1917, a circa un anno dalla chiusura del Primo conflitto mondiale, il Monte Grappa fu teatro di violenti bombardamenti tra l’Italia e l’Impero Austroungarico. Un proiettile sfondò il tetto della Gypsotheca di Possagno. La granata finì nell’ala Lazzari, la lunga galleria dove sono allineate le opere di maggiori dimensioni di Antonio Canova, abbatté parte del solaio e si frammentò in migliaia di schegge mutilando centinaia di gessi (decapitando, tra le altre cose, la stessa Paolina Borghese). Secondo alcuni storici, responsabili dello scempio sarebbero stati i cannoni austroungarici. Altri però, a onore del vero, ritennero che quelle bocche di fuoco appartenessero alle artiglierie italiane. Restano oggi le clamorose foto di quella distruzione. Immagini scattate da Stefano Serafin, all’epoca conservatore e custode del museo, e dal fratello Siro. Quella preziosa documentazione fotografica vene esposta la prima volta nel Museo Canova a Possagno, in occasione del centenario della Prima guerra mondiale, nella mostra “Antonio Canova. L’arte mutilata nella Grande Guerra”. Fu stupidità bellica, non c’è dubbio. Che però svanisce in confronto a un altro episodio collegato proprio a quel bombardamento. Al momento nessuna conferma ufficiale, ma secondo numerose testimonianza di quei giorni di distruzione, alcuni soldati francesi avrebbero giocato a calcio con la testa in gesso di Paolina Borghese, staccata dal resto della scultura in seguito agli spezzoni della granata finita nel museo. Un vero campionato di ebetismo nel giardino storico del museo.

Le Tre Grazie,\u00A0Antonio Canova. Fonte Ansa
Le Tre Grazie,\u00A0Antonio Canova. Fonte Ansa
Le Tre Grazie, Antonio Canova. Fonte Ansa

LE TRE GRAZIE. Neppure la famosa scultura di Canova Le tre Grazie uscì indenne da quel bombardamento. Canova realizzò due versioni, molto simili, tra il 1812 e il 1817. La prima finì all’Ermitage di San Pietroburgo, dove tutt’ora è conservata, commissionata dalla moglie di Napoleone. L’altra fu voluta dal duca di Bedford per la sua dimora, oggi però è condivisa dalla National Gallery of Scotland di Edimburgo e dal Victoria & Albert Museum di Londra che la espongono a turno sette anni ognuno. Un acquisto (1994) che non ha risparmiato polemiche sia perché l’opera ha abbandonato il luogo per il quale fu concepita, l’antica abbazia Woburn Abbey, diventata poi residenza del duca, ma anche perché i continui traslochi da un museo all’altro avrebbero danneggiato in parte la superficie.

George Washington, scultura di Antonio Canova. Fonte Ansa
George Washington, scultura di Antonio Canova. Fonte Ansa
George Washington, scultura di Antonio Canova. Fonte Ansa

CANOVA E GLI USA. Ma c’è ancora un capito. Riguarda il marmo scolpito da Canova dedicato al primo presidente degli Stati Uniti: George Washington. Lo scultore lo ritrasse come un condottiero romano mentre scrive il discorso di addio alla politica e la rinuncia al terzo mandato. L’opera venne realizzata nel 1818 su commissione di Thomas Jefferson a nome dell’Assemblea generale, per la Sala del Senato del Parlamento di Raleigh, nel North Carolina. La scultura fu scoperta nel corso di una mega cerimonia nel 1821. Ma il 21 gennaio 1831, andò distrutta nel funesto incendio del Parlamento. Il modello di quella scultura, come i modelli originali dell’intera produzione dell’artista, si trova nella Gypsotheca, accanto alla casa natale di Canova. Fu il vescovo Giovanni Battista Sartori, fratellastro di Canova, a volere che dal 1829 fossero trasferiti a Possagno tutti gli originali in gesso conservati nello studio romano dello scultore fino al 1822, anno della sua morte. Grazie al suo modello conservato nella casa-museo, anche il monumento del primo presidente fu rifatto. L’incarico di procedere alla replica, di quella che fu l’unica opera eseguita da Canova per gli Stati Uniti, venne affidato nel 1970 allo scultore veneziano Romano Vio. Una storia conclusa, quella fatta di marmi e gessi ma soprattutto di dannazioni e bellezza violata. Forse.

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