Sarà pure la crescita più alta dal 1976, come ha certificato l’Istat, ma se si allarga lo sguardo agli ultimi trent’anni c’è poco da esultare. Certo: il +6,5% registrato dal Pil nel 2021 ha dato all’Italia un’insolita veste da locomotiva europea, lasciando indietro fra gli altri Spagna (+5%), Portogallo (+4,9%), Austria (+4,7%) e Germania (+2,8%). Nell’anno della ripresa dopo il tonfo Covid, tra i big dell’economia Ue ha fatto meglio – ma siamo lì – solo la Francia, cresciuta del 7%.

Alla fine di quest’anno però l’Italia, al netto di nuovi sconvolgimenti, sarà comunque ultima dell’Eurozona nella classifica sul recupero dei livelli pre-pandemia. E sarà l’unica insieme alla Grecia a non aver ripreso i livelli del 2007, quando scoppiò la crisi dei debiti sovrani. Non è finita. Anche il confronto con il 1993, anno di entrata in vigore del Trattato di Maastricht, è impietoso: a quei tempi l’Italia rappresentava quasi un quarto (19,1%) del Pil dell’attuale area Euro, mentre oggi la nostra quota è scesa a un sesto (14,9%). Insomma: i botti degli ultimi tempi – tra l’altro ridotti rispetto alle previsioni iniziali – non riescono a compensare la lunga scivolata iniziata negli anni Novanta.

E che dire delle famiglie? Basta guardare gli ultimi conti per capire quanto siano in difficoltà. Nel 2021 l’indice delle retribuzioni contrattuali orarie è cresciuto dello 0,6% rispetto all'anno precedente. Ma l’inflazione è salita in media del 1,9% e ha ridotto sempre di più le capacità di manovra: “Alla luce della dinamica dei prezzi al consumo, in forte e pari a circa tre volte quella retributiva, si registra anche una riduzione del potere d'acquisto", commenta l'Istat.

Per fortuna ci sono gli ecobonus. “E’ l'edilizia uno dei settori a dare il maggiore contributo all'incremento del Pil nel 2021", ha rilevato il Centro Studi di Argenta Soa, organismo di attestazione che certifica le aziende per la partecipazione alle gare pubbliche. Nelle elaborazioni prodotte dagli esperti emerge come il settore delle costruzioni risulti essere uno dei “motori della ripresa”. Sono numeri “straordinari che rivelano la vivacità di un comparto che sta crescendo 4 volte più veloce del Pil, e continuerà anche nel 2022 grazie non solo agli incentivi per le ristrutturazioni immobiliari, in direzione di una maggiore efficienza energetica, ma anche agli interventi previsti nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza”, è la previsione di Giovanni Pelazzi, presidente di Argenta Soa e del Centro studi sugli Appalti pubblici.

Ma visti i numeri di partenza, il Pnrr deve fare un lavoro più complicato di quello ordinario. Il compito non è solo quello di curare le ferite del Covid e fare un “ripristino di sistema” per riportare lo scenario al 2019. Perché due anni fa l’Italia cresceva zero. Deve invece costruire la spinta  indispensabile per archiviare gli anni di stagnazione, della lievitazione del debito pubblico e della pressione fiscale. Con tutte le sue conseguenze: famiglie sempre più povere, aziende indebitate.

Nel frattempo il resto d’Europa corre più veloce. Il Pil della Germania crescerà alla fine dell’anno dell’1,6%, in Francia del 2,1% e l’Eurozona del 2,5%, grazie anche ai balzi di piccoli Paesi come l’Irlanda (+27%). Solo la Spagna (-1,1%) rimarrà indietro a causa della caduta disastrosa del 2020. Il quadro peggiora nel confronto con il 2007, che alla crisi del Covid aggiunge quella dei debiti sovrani. Grecia a parte, l’Italia è l’unica a restare sotto il dato di 15 anni fa, con un -2,8% che si confronta con il +12,9% dell’area Euro, il +14,5% della Francia e il +17,5% della Germania. E la distanza con gli altri cresce ancor di più nel confronto con il 1993: qui anche la Grecia fa meglio di noi (+30,4%), mentre il Prodotto interno lordo italiano è cresciuto (solo) del 21,9%.  

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