È arrivato giugno, il mese del verdetto. In questi giorni la Corte Suprema americana si pronuncerà sul diritto di aborto a 49 anni dalla sentenza Roe vs Wade, che legalizzò a livello federale l’interruzione di gravidanza. La sentenza è attesissima, anche perché nel frattempo alcuni stati a maggioranza repubblicana stanno restringendo quella facoltà in modo sempre più drastico, ma soprattutto perché sappiamo già dai primi di maggio che tendenzialmente il tribunale supremo degli Usa è propenso ad abolire il diritto, smentendo la sentenza del 1973.

Se conosciamo l’orientamento della Corte - che le nomine effettuate sotto la presidenza di Donald Trump hanno reso a schiacciante maggioranza conservatrice – è grazie allo scoop della testata “Politico”, che ai primi di maggio ha pubblicato una bozza di parere firmata dal giudice Samuel Alito e appoggiata dagli altri quattro giudici nominati quando alla Casa Bianca c’erano inquilini repubblicani: Clarence Thomas, Neil Gorsuch, Brett Kavanaugh e Amy Coney Barrett. Il testo – molto significativo per quanto informale – definisce la sentenza che legalizzava l’aborto “vergognosamente sbagliata fin dall’inizio” e quindi da cancellare. La mozione di minoranza conta solo sull’appoggio delle tre toghe liberal - Stephen Breyer, Sonia Sotomayor ed Elena Kagan – e per un’evidente questione aritmetica non potrebbe prevalere neanche se dovesse ottenere l’appoggio di John Roberts, il presidente della Corte (moderato di nomina repubblicana, fu indicato da George W. Bush) che finora non si è espresso.

E in realtà in questo momento la priorità di Roberts sembra un’altra: individuare la talpa che ha fatto arrivare alla redazione di Politico la bozza di parere firmata da Alito. Quello che la stampa americana ha celebrato come uno scoop senza precedenti, data la tradizionale impenetrabilità della Corte, per Roberts è un trauma istituzionale.

Per lui ora è determinante individuare l’autore del “leak”: capire chi è significherebbe anche individuarne le motivazioni e quindi avere gli elementi di partenza per sterilizzare una politicizzazione del verdetto, che avrà comunque un’eco e delle conseguenze importantissime. Anche perché nel frattempo le ipotesi e le speculazioni sulle motivazioni della clamorosa indiscrezione si sprecano. Da destra i maggiorenti del Partito Repubblicano puntano il dito sul personale liberal o comunque di sentimenti progressisti in servizio alla Corte: la tesi è che far trapelare l’orientamento dei saggi per il superamento della “Roe vs Wade” serve a far crescere la mobilitazione dei pro aborto e quindi a mettere sotto pressione i giudici, che potrebbero titubare all’idea di mettersi contro una fascia maggioritaria dell’opinione pubblica e le sue frange più accese e militanti. La tesi opposta, cioè la lettura “di sinistra” della fuga di notizie, è che a dare l’imbeccata alla redazione di Politico sia stato un insider della Corte Suprema di fede conservatrice: pubblicare il parere Alito, è l’idea, serviva a bruciare i ponti alle spalle ai giudici, che a questo punto sono già esposti contro l’aborto e non potrebbero ascoltare un eventuale, estremo tentativo di mediazione del moderato Roberts.

Di fatto nessuno osa immaginare che sia stato uno dei giudici supremi a consegnare il testo ai reporter: l’ambito dei sospettabili si riduce ai loro assistenti e ai dipendenti dell’istituzione. Ed è anche per restituire serenità alla struttura che Roberts accelera nella caccia alla talpa. A caldo aveva scritto una lettera spiegando che “noi della Corte siamo fortunati ad avere una forza lavoro - dipendenti permanenti e assistenti legali - fortemente leali all'istituzione e dediti allo stato di diritto. Questa è stata una singolare ed eclatante violazione di quella fiducia ed è un affronto alla Corte e alla comunità dei dipendenti pubblici che lavorano qui”. Ora però il verdetto si avvicina e la Corte, riferisce la Cnn, con una mossa senza precedenti ha chiesto di avere accesso ai tabulati telefonici dello staff dei giudici, per lo più giovani avvocati che vengono selezionati ogni anno per collaborare con i nove saggi. Roberts, aggiungono le fonti della tv americana, ha già avuto un incontro con loro subito dopo la fuga di notizie ma non è chiaro se ci siano stati colloqui individuali.

È possibile che l’esame dei tabulati aiuti a individuare l’autore, o l’autrice, di quello che Roberts ha definito un tradimento. Ma la parola che ha usato è stata “betrayal” e non “treason”. Non è una sfumatura irrilevante: la prima parola in inglese ha un senso più emotivo e morale che giuridico, la seconda invece ha una grave solennità penale ed equivale circa all’italiano alto tradimento. In ogni caso, se anche si dovesse riuscire a individuare la talpa non si sa che cosa le potrebbe accadere: come spiegava dettagliatamente un articolo di Wired pubblicato subito dopo lo scoop di Politico, non è chiaro se far trapelare un documento della Corte costituisca un reato. In particolare la testata cita Trevor Timm, avvocato specializzato nelle questioni legate al primo emendamento, quello che sancisce la libertà di espressione e di stampa: “In questo momento, non è chiaro se il responsabile del leak abbia infranto qualche legge. Anche le persone che sostengono che questo atto sia inaccettabile e che l’Fbi debba aprire un’indagine non hanno saputo indicare la legge specifica che l’autore del leak avrebbe infranto”. E Timm cita Orin Kerr, giurista di Berkeley, che ha forti dubbi sul fatto che un parere della Corte possa essere considerato un documento secretato, e quindi “per quanto posso dire, non esiste nessuna legge penale federale che proibisca direttamente la divulgazione di una bozza di un parere legale”.

In sostanza la talpa potrebbe essere individuata dai giudici per poi sfuggire dalle loro mani grazie alla Costituzione di cui sono custodi. E in nome della quale si apprestano, con ogni probabilità, a negare alle donne il diritto di abortire.

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