Il tennis è uno sport giusto: vince sempre chi gioca meglio. A differenza del calcio, dove un errore dell’arbitro, un autogol o un rimpallo possono decidere le sorti di una partita. Così il risultato di un match di tennis è quasi sempre specchio fedele di un giocatore.

La sconfitta di Rafa Nadal al primo turno degli Australian Open di Melbourne dimostra che il maiorchino, al di là dei propositi, delle vacanze abolite per cercare di recuperare smalto e colpi, è l’ombra dell’ex numero uno al mondo che fu l’idolo dei ragazzini di tutto il mondo, per certi versi anche più di Federer, per quel suo tennis che sembrava un videogioco, senza errori, in continuo pressing, recuperi impossibili, passanti stellari, condizione fisica da superman. Il Nadal attuale, figlio di tanti stop per infortuni seri e di un tennis troppo logorante per il fisico, gioca corto, i suoi colpi sono meno incisivi e perde match che in passato avrebbe vinto passeggiando.

Certo, si può dire che il suo matador, il connazionale Fernando Verdasco, nelle giornate di grazia è l’avversario peggiore per i regolaristi, che ha giocato un match perfetto sull’uno-due servizio risposta per non dare ritmo a Nadal, che ha inanellato aces e vincenti con una facilità impressionante, che era quasi ingiocabile.

In realtà i precedenti (che mentono quasi mai) tra i due spagnoli parlavano chiaro: 15-2 per Nadal, che quando era il numero uno non consentiva a Verdasco di giocare da fermo e di tentare vincenti a ogni colpo.

Nadal è stato il giocatore che più ha assomigliato a Bjiorn Borg: una macchina lancia palle che a tratti ha dato davvero l’impressione di invincibilità su tutte le superfici (ha vinto tutti gli slam,Wimbledon compreso). E come Borg sembra pagare più di chiunque altro lo sfruttamento di un fisico che ha resistito a certi livelli per otto anni e che adesso presenta il conto.
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