La Nazionale torna a vincere: Mancini è l'uomo giusto per il rilancio?
Il ct jesino ha avuto personalità nelle scelte, ma l'Italia deve rimanere con i piedi per terraTempo di bilanci per la Nazionale. L'era Roberto Mancini ormai è iniziata da un pezzo e il doppio impegno con Ucraina e Polonia ha messo in evidenza pregi e difetti di un gruppo solido, compatto, ma con qualche carenza dal punto di vista tecnico.
L'amichevole con la squadra di Shevchenko ha mostrato un'Italia veloce, rapida nella prima parte, che poi si è sgretolata piano piano, incapace di andare oltre l'1-1 contro un'avversaria piuttosto modesta.
In Nations League, invece, le cose sono cambiate: conferma del "falso nueve", continuità di rendimento per tutti i novanta minuti e tre punti conquistati sul filo di lana, creando moltissimo. Non un caso, ma frutto della voglia di vincere e della forza di volontà.
Ecco allora che i tifosi si chiedono: la vera Italia è quella vista fino a mercoledì o quella dello Slaski? E Roberto Mancini è davvero l'uomo della rinascita? Proviamo a ragionarci insieme.
PRO MANCINI - L'ex allenatore di Inter, Manchester City, Galatasaray e Zenit San Pietroburgo è arrivato in punta di piedi, ma con un curriculum di tutto rispetto: tre campionati italiani, quattro Coppe Italia (record), due Supercoppe Italiane, una Premier League, una Community Shield, una Coppa d'Inghilterra e una Coppa di Turchia. Questo se consideriamo solo la carriera da tecnico. Il ct ha dato subito un'impronta di gioco evidente lanciando giovani fin dall'inizio. Uno su tutti Nicolò Barella, devastante per personalità e spessore tecnico.
Il 53enne jesino non ha guardato in faccia nessuno, nemmeno il capocannoniere della scorsa Serie A, Ciro Immobile, autore di ben 29 gol come Icardi. Il bomber della Lazio contro la Polonia non è nemmeno entrato, ma alla fine ha avuto ragione il "Mancio".
Dentro Lasagna all'esordio assoluto con la maglia azzurra e assist decisivo per il gol vittoria di Biraghi. Una scelta affatto scontata, che ha dato i suoi frutti. Bernardeschi, Insigne e Chiesa, poi, hanno mandato in tilt la Polonia e, anche se la rete decisiva è arrivata da un terzino, sono sempre stati pericolosi. Sui social non si leggeva altro: la miglior prestazione della Nazionale dal 2016.
CONTRO MANCINI - Ma non è tutto rose e fiori per Roberto Mancini. Se nell'ultima uscita gli azzurri hanno giocato davvero bene è anche vero che in precedenza si è visto poco: Argentina-Italia 2-0, Inghilterra-Italia 1-1, Italia-Arabia Saudita 2-1, Francia-Italia 3-1, Italia-Olanda 1-1, Portogallo-Italia 1-0. Insomma non certo risultati esaltanti. La vittoria contro la Polonia è un bel segnale, ma la soluzione senza centravanti è applicabile anche contro avversari di livello più alto? È questa la strada giusta? La storia ci dice di no.
Gli azzurri sono sempre stati temuti in tutto il mondo per la solidità difensiva e la capacità di tramutare in oro le esigue occasioni create.
Nel 2006 il punto di riferimento era Luca Toni così come lo sono stati Vieri, Riva, Graziani, Rossi, Vialli (e chi più ne ha più ne metta). Vero, la nuova generazione non è florida come quelle precedenti, ma Belotti, Immobile, Pavoletti (a quando la chiamata?), Inglese, Balotelli e Lasagna non possono essere accantonati.
Nell'analisi generale c'è da considerare che il calcio negli ultimi tempi è cambiato parecchio. Guardiola ha creato un modello seguito dai vari Sarri, Klopp, Luis Enrique che ha dato i suoi frutti. E non lo si può ignorare.
E allora viva l'Italia vista contro la Polonia, ma è bene rimanere con i piedi per terra. Perché se il "tiki taka" ha segnato (e sta segnando) un'epoca, è altrettanto vero che gli azzurri sono la seconda Nazionale con più titoli mondiali vinti, dietro solo al Brasile.
Questo non può essere dimenticato, così come il modo in cui li abbiamo portati a casa.
Con buona pace del cambiamento.
Filippo Migheli
(Unioneonline)
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