Un disco per tornare a urlare dal basso, dal fondo di un'anima sconquassata dai segni meno di una vita che a volte ferma la giostra e chiede il conto. Tredici canzoni per dire "Sono tornato", per riprendere a incastrare rime con una forza che colpisce ancora e – a volte – ammutolisce. Mostro è di nuovo dietro a un microfono a sputare rime, dice, "come fossero veleno", un fiume di parole raccolto nel nuovo "Ogni maledetto giorno". Un manifesto della propria arte e del proprio talento.

Canzoni come "Poison" o la titletrack "Ogni maledetto giorno" sono molto dirette. È lì che si racchiude la sua estetica del rap?

"Il rap per me è prima di tutto comunicazione, per cui tra l’artista e chi ascolta si deve creare empatia. Credo che ogni artista scelga il proprio stile… Si possono fare molti paragoni: la musica e l’arte per esempio sono simili, a me piace l’idea di dipingere degli scenari con i miei testi, creare dei film e comunicare le mie emozioni. Un artista deve esporsi cercando di farsi capire dalle persone e la musica è il mezzo perfetto per farlo".

Il disco ha diversi colori, ma il motivo che sostiene il tutto pare essere la rabbia. È questo sentimento che guida la sua urgenza nell’esprimersi?

"Urgenza è la parola corretta, perché questo disco nasce proprio da quello ed è il motivo per cui risulta così aggressivo. È stato scritto in un periodo in cui sono stato fermo per molto tempo e, di conseguenza, questa energia è esplosa tutta quanta insieme riportandomi in superficie. È stato come un urlo che mi ha fatto uscire dalle macerie di me stesso e mi ha portato a dove sono adesso".

E dov’è adesso Mostro?

"È sicuramente fuori da quella che è la mia gabbia mentale di cui parlo su 'Ogni maledetto giorno'".

Su Facebook ha scritto che il disco è nato in uno dei momenti più complicati della sua vita. Cosa è successo?

"Ci abbiamo messo due anni a fare questo album, ma questa pausa è stata sicuramente una necessità per me. Dovevo prendermi del tempo per capire cosa stava succedendo accanto a me e riacquistare coscienza. Sono cambiate molte cose, ho subito delle perdite dal punto di vista lavorativo, per cui è iniziata tutta un’altra situazione. Poi tutto è tornato tra le nostre mani e siamo riusciti a riprendere il cammino".

Ha avuto solo – diciamo – abbandoni professionali o anche qualcosa di più personale, familiare?

"Ci sono stati anche quelli, ed è la cosa più destabilizzante che può accadere".

Certo, poi bisogna essere bravi a canalizzare tutto nella musica nella maniera corretta…

"Sì, bisogna trovare il modo di farlo, per quanto la mia musica sia aggressiva è sempre un’esaltazione della vita. La cosa più difficile è stata ritrovare la fiducia e la voglia di riaffrontarla, questa vita".

Il ritorno si chiama "Ogni maledetto giorno"
Il ritorno si chiama "Ogni maledetto giorno"
Il ritorno si chiama "Ogni maledetto giorno"

Parla spesso di odio e sfiducia della gente, ma nei fatti ha dei buoni riscontri…

"Sì, siamo riusciti a fare ricredere molti su di noi e questo ci ha dato grande fiducia. Punto a farmi dare un’altra possibilità dalle persone. Voglio stupirli completamente".

C’è stato un momento difficile anche su questo punto? Nel rapporto con i fan?

"Sai, prima di questa pausa di due anni eravamo in due".

Parla di LowLow, ovviamente…

"Sì, ed eravamo al top. E quando sei al top sei più bersagliabile. Molti ti amano, altrettanti ti odiano. E quando si è sfaldata la nostra situazione tutti hanno avuto modo di dire la loro e quindi siamo stati presi di mira, insomma siamo stati ‘sommersi dalla m...'".

Entrambi?

"Non so, io parlo solo per me".

La produzione del disco è stata affidata al duo Enemies. Come ha lavorato con loro?

"Benissimo, hanno capito perfettamente quale sound volessi, abbiamo lavorato insieme sulle produzioni, avvicinandoci anche alla trap senza prestarci a quel mondo. Non volevo essere un artista trap, né diventarlo, ma prendere qualcosa di quel mondo e farlo nostro. E i beat in questo senso parlano da soli".

In un pezzo parla di Bassi Maestro, dove rivendica la necessità di dire le cose che si hanno da dire, senza troppi giri di parole.

"Lui ha fatto un brano, 'Sic', che ho ascoltato per la prima volta quando ero ragazzino. Non immaginavo che ci fosse un genere che permettesse di dire tutte quelle cose e quelle parolacce in quel modo, che qualcuno fosse così incazzato da parlare così, senza mezzi termini. Una cosa che artisticamente mi ha influenzato tantissimo".

Qual è il pezzo più personale del disco, dove si è esposto di più?

"Credo 'E fumo ancora', che non è una canzone d’amore, ma di ricerca dell’amore e della voglia di vivere questa vita nella maniera migliore. Parlo di un cammino".

E il suo cammino la porterà anche in Sardegna?

"La Sardegna manca sulla nostra mappa, non ci siamo stati mai. Ma con i live, che inizieranno intorno a novembre, sicuramente cercheremo di venirci".

Marco Castrovinci
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