Per chi non sa resistere all’horror che strizza l’occhio all’occulto e al paranormale, tra i cineasti più promettenti del genere nell’ultimo decennio spicca senza dubbio Ari Aster. Il regista e sceneggiatore newyorkese, salito subito alla ribalta con l’eccellente esordio “Hereditary - Le radici del male” e i successivi “Midsommar” e “Beau ha paura”, ha presentato in anteprima alla scorsa edizione del Festival di Cannes il suo ultimo lavoro, “Eddington”, una western comedy profondamente diversa dalle pellicole a cui ci aveva abituati.

Con protagonisti Joaquin Phoenix e Pedro Pascal, il film è ambientato in una cittadina immaginaria del New Mexico, teatro degli scontri tra il sindaco e lo sceriffo locale. Il progetto si ispira in particolare ai fenomeni di alienazione e dipendenza tecnologica, come spiegato dallo stesso Aster in una passata dichiarazione: “Ho voluto raccontare un mondo in cui le persone sono sempre più isolate, incapaci di vedere qualcosa al di là della loro bolla personale. Si fidano solo di ciò che conoscono e ignorano tutto il resto. Un tempo Internet era un luogo a cui ci si collegava, ora è qualcosa che ci portiamo costantemente addosso. Viviamo dentro Internet”.

Al di là delle grandi aspettative, “Eddington” non sembra aver pienamente convinto i critici presenti alla proiezione sulla Croisette. Tanto che, in un’intervista al New York Times, Aster ha espresso alcune considerazioni personali dopo le recensioni poco lusinghiere ricevute: “Non sto leggendo recensioni mentre sono qui semplicemente perché mi conosco e so che è come stare sulle sabbie mobili. Quindi sto cercando di stare lontano da ciò che la gente dice finché non vado via. Sapevo cosa stavo facendo, e immaginavamo che sarebbe stato divisivo. Non so nemmeno se sia così, ma ho sentito qualcosa del genere”.

Nella speranza che l’arte possa scuotere sempre più le opinioni, aldilà delle categorie di genere e delle divergenze di vedute, ha poi affermato: “Vorrei vedere più spesso riflesso (nell'arte) ciò che io stesso provo. Sono davvero preoccupato e davvero spaventato, e credo che la maggior parte delle persone lo sia. Sento che sia urgente parlarne. So di averlo già detto, ma penso davvero che dobbiamo reimparare a relazionarci gli uni con gli altri. Altrimenti, non può esistere un'azione collettiva”.

Più di recente, il filmaker è tornato sotto i riflettori per condividere alcune riflessioni sul nostro tempo, rivelando che - più di qualsiasi racconto horror - ciò che oggi lo spaventa maggiormente è l’ascesa incontrollata dell’intelligenza artificiale. In uno scambio col giornalista Isaac Feldberg per Letterboxd, ha dichiarato: “Ho davvero paura di tutto questo. La verità è che è già troppo tardi. Siamo dentro una corsa che nessuno fermerà. La storia dell'innovazione ci insegna che se qualcosa si può fare, prima o poi qualcuno la farà. Mi pongo domande più grandi. Marshall McLuhan diceva: l'uomo è l'organo sessuale del mondo delle macchine. Ma allora: questa tecnologia nasce da noi, noi siamo estensioni di essa, oppure siamo qui solo per darle vita?”.

Allo stesso modo, la narrativa che sottende l’avanzata e lo sviluppo dell’IA è -per Aster - altrettanto inquietante: “Quando parli con ingegneri e sviluppatori che lavorano sull'IA, ti accorgi che non ne parlano come di un semplice strumento o di una nuova tecnologia: la trattano come se fosse una divinità. C'è una vera e propria devozione. È come se parlassero da discepoli. La distanza tra ciò che viviamo e ciò che immaginiamo sta scomparendo. Ci stiamo fondendo, e questa è una prospettiva davvero spaventosa”.

Insistendo ancora sul lato oscuro di questo fenomeno, il director sottolinea come l’intelligenza artificiale, passo dopo passo, si faccia - paradossalmente - sempre più reale: “La cosa che più mi colpisce è che ormai non mi sembra nemmeno così strana. Guardo video generati dall'IA e sembrano veri. È un segno di quanto l'essere umano sia capace di adattarsi. Più una cosa è strana, più ci abituiamo a viverla, e diventa normale. Ma proprio adesso sta succedendo qualcosa di enorme e noi non possiamo più controllarlo. Non abbiamo voce in capitolo. È pazzesco pensare che lo stiamo vivendo in tempo reale”.

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