Promuovere la cultura sarda, il territorio, le bellezze, l’enogastronomia. «Tutte cose importanti, ma c’è molto altro nel futuro dei circoli all’estero». Andrea Atzeni, 33 anni di Portoscuso, vive in Olanda. Lavora nell’attività di famiglia e ha lasciato la sua terra per continuare il suo percorso di formazione, anche a livello professionale, all’estero.

Da un paio di anni frequenta il circolo sardo “Amici Mediterranei” di Arnhem ed è stato fra i protagonisti dell’incontro che si è svolto ad Amsterdam tra i giovani emigrati. Un gruppo che si è confrontato sulle esperienze personali, sulle varie storie e sulle prospettive.

«Chi arriva in un Paese straniero affronta prima di tutto grandi difficoltà. Partiamo dalla lingua, nel mio caso l’olandese è uno scoglio difficilmente superabile, ma ci sono anche tutte le questioni quotidiane come cultura, norme, leggi, regolamenti, e i rapporti fra le persone. Noi sardi – prosegue Atzeni – siamo espansivi, calorosi, facciamo amicizia facilmente, gli olandesi sono un po’ più chiusi, e questo non agevola l’interrelazione».

“Amici Mediterranei” è una realtà quasi all’avanguardia: «Chi è partito dalla Sardegna decine di anni fa aveva esigenze primarie che erano quelle del ritrovarsi fra conterranei, fare quattro chiacchiere in sardo, soffrire meno la nostalgia. Ora questo in parte è rimasto, ma le nuove generazioni hanno bisogno di altro. Di un aiuto concreto. Al nostro circolo abbiamo creato un centro servizi, un luogo dove si possono avere assistenza fiscale, legale, e trovare figure professionali che sono il primo punto di contatto per risolvere questioni pratiche. Del resto chi arriva in Olanda raramente conosce le leggi, ed è abituato a pensare “all’italiana”».

Invece è tutto diverso?

«Tutto forse no, ma molte cose sì. Faccio un esempio: lo Spid, il Sistema Pubblico di Identità Digitale. In Italia può essere “agganciato” a vari gestori. In Olanda lo fornisce lo Stato attraverso la presentazione di una domanda a un ente locale. Un sistema talmente implementato nel settore dei servizi che è facilissimo da utilizzare. La dichiarazione dei redditi la presento via smartphone in 5 minuti, il passaggio di proprietà dell’auto si fa alla Lottomatica al costo di 11 euro».

A livello di associazioni sarde, quali sono oggi le finalità?

«Principalmente restano la promozione dell’Isola per farla conoscere agli olandesi, e riportare un po’ di Sardegna all’estero per i sardi, anche le nostre usanze tipiche. Ma, soprattutto, quello di Arnhem ha come obiettivo quello di cercare di cambiare la figura del circolo, trasformarlo in un vero e proprio centro servizi utile a tutti i conterranei presenti sul territorio. Abbiamo aperto anche un patronato. Ma per fare tutto questo bisogna avvicinare i giovani che abbiano varie professionalità e titoli di studio. Un avvocato qui può chiederti anche 400 o 500 euro all’ora. Mentre all’interno del circolo si possono trovare figure che offrono aiuto o assistenza nei tanti settori, e la prima consulenza gratuita».

Cosa possono fare allora le nuove generazioni all’estero?

«Se hanno già contatti con le associazioni possono utilizzare la loro esperienza al servizio degli altri. I ventenni, ad esempio, li avviciniamo proponendo attività che sono più “nelle loro corde”, eventi e convegni su materie specifiche per incentivare il confronto».

L'incontro dei giovani sardi ad Amsterdam (foto concessa)
L'incontro dei giovani sardi ad Amsterdam (foto concessa)

L'incontro dei giovani sardi ad Amsterdam (foto concessa)

In quello di Amsterdam avete parlato anche di burocrazia e fondi insufficienti.

«Quello dei fondi è un grande problema. Partiamo dal presupposto che l’emigrazione dalla Sardegna verso un’altra regione italiana e verso un altro Stato sono completamente diverse. Qui i costi sono elevati anche solo per poter mantenere operativa una sede piccolissima. Si pagano più di mille euro al mese, utenze escluse. Uno dei motivi di scoraggiamento dei giovani che vorrebbero far parte dei circoli è questo: perché dovrebbero entrare del direttivo se poi i fondi non sono sufficienti oppure, qualche volta è successo, arrivano in ritardo? La Regione ci sostiene, lo devo dire, ed è sempre disponibile. Il problema è a livello Italia. È il sistema che rende difficile la gestione pratica, la Sardegna è solo una vittima».

I valori identitari fanno ancora parte del bagaglio dei giovani emigrati?

«Questo è un altro dei punti toccati al convegno di Amsterdam. I motivi che hanno spinto le prime generazioni a partire sono stati prettamente lavorativi, oggi le nuove generazioni sono animate più dalla voglia di scoprire altre realtà. La Sardegna per noi è ormai un posto “chiuso”. Abbiamo insomma aspirazioni diverse. Tuttavia, è vero che ogni volta che si va all’estero si va alla ricerca delle proprie radici, anche per agevolare l’integrazione. Creare un gruppo o una comunità con chi condivide con te degli elementi è molto più semplice».

Possiamo dire una sardità sempre presente?

«Sì, ma siamo più dinamici. Per noi è più semplice viaggiare, tornare a casa, sentiamo meno la nostalgia. Ma il mal di Sardegna lo avvertiamo. Io vivo a Zeddam, dove piove sei giorni su sette, e noi sardi sappiamo essere coinvolgenti, calorosi, ci aiutiamo l’un l’altro, fuori dall’Italia, preciso. Perché quando sei in paese avverti le gelosie, le invidie, le malelingue, tutte cose che scompaiono quando ritrovi i sardi all’estero. Buffo, no?».

Ma gli olandesi conoscono la Sardegna?

«Molti sì, e anche grazie alle attività dei circoli. Non sono tanti invece quelli che ci sono stati perché trovano altissimi i costi: magari acquistano biglietti aerei low cost poi quando atterranno, e devono noleggiare un’auto, ecco che le cifre sono improponibili, di conseguenza preferiscono andare altrove».

Vi sentite emigrati sardi, italiani o cittadini del mondo?

«Quando siamo all’estero siamo sardi italiani, cittadini del mondo sì ma sempre sardi, comunque ben integrati nelle nuove realtà. C’è qualcosa che ci contraddistingue e gli altri lo percepiscono».

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