«Quando ai giapponesi chiedi se conoscono qualche isola italiana ti rispondono di sì: la Sicilia. La Sardegna non è contemplata ma viene associata alla Corsica, quindi pensano che i sardi siano francesi». Il perché è presto detto: «Tutta colpa del film “Il Padrino” che del Belpaese ha fatto diventare nota solo una delle due isole maggiori».

Gabriele Enna ha 40 anni, è di Bonarcado e vive a Tokyo, in pieno centro. Progettista meccanico, si occupa di disegni in 3D di componenti per vari macchinari – agricoli, per costruzioni, industriali – di diverse dimensioni.

In Giappone è arrivato perché si era stancato di non vedere nulla nel suo futuro. «In Italia si lavora per avere soldi e per andare a lavorare di nuovo il giorno dopo. A un certo punto mi sono chiesto: perché lo sto facendo?».

Bonarcado l’ha lasciata quando era molto piccolo e i genitori erano emigrati in Germania, è tornato intorno agli 11 anni e dopo le scuole medie ha frequentato l’istituto industriale di Oristano.

Alla ricerca di un’occupazione è approdato a Reggio Emilia e ci è rimasto per 16 anni.

Contratto a tempo indeterminato, stipendio discreto, ma non era soddisfatto.

«Per niente, volevo qualcosa di diverso, qualcosa di più. Andare oltre, migliorarmi».

E ha pensato all’altra parte del mondo?

«Mi è piaciuto subito il Giappone, ci sono andato in vacanza in più occasioni e mi sono innamorato di questo Paese. Alla fine mi sono buttato, “ci provo”, mi sono detto. Ho lasciato il lavoro e sono partito».

E una volta lì?

«Non è stato affatto facile. Non conoscevo nessuno. Prima di tutto ho pensato che dovevo studiare la lingua. Nei primi mesi avevo un mini appartamento: 18 metri quadrati con un bagno microscopico, sala e cucina tutto insieme. Al mattino andavo a scuola, corsi privati a pagamento, nel pomeriggio avevo un lavoretto part time».

Gabriele Enna con la sua insegnante alla consegna del diploma alla scuola di giapponese (foto concessa)
Gabriele Enna con la sua insegnante alla consegna del diploma alla scuola di giapponese (foto concessa)
Gabriele Enna con la sua insegnante alla consegna del diploma alla scuola di giapponese (foto concessa)

Ora, dopo quasi quattro anni, parla giapponese?

«Me la cavo con i discorsi quotidiani: per andare a fare la spesa, chiedere informazioni, chiacchierare del tempo. Non potrei reggere una conversazione complessa ovviamente».

Scrive anche?

«Ormai si utilizza solo il computer, la scrittura a mano non serve, con la tastiera è tutto più semplice».

Difficoltà?

«Entrare in un’ottica per cui esistono tre livelli di interlocutori: quelli con cui si usa il tu, quelli per i quali si deve usare il lei o il voi, e poi quello più estremo che in italiano può suonare come vossia. Quest’ultimo è per l’ambito lavorativo. Diciamo che si va da un livello informale, al formale e all’extra formale».

Un po’ cerimoniosi i giapponesi?

«Hanno le loro abitudini. Per esempio nelle mail interne, tra dipendenti della stessa azienda, il primo paragrafo è tutto dedicato all’introduzione che consiste in una serie di frasi del tipo “grazie per il lavoro che fai”, “mi dispiace interromperti durante la tua attività”, e via così per quattro righe prima di venire al dunque. E lo fanno tutti».

Un banale copia e incolla?

«Assolutamente no, le formule devono essere digitate volta per volta. Però io ho un vantaggio, gioco la carta dello straniero e faccio i saluti in modo breve».

Gabriele Enna sul monte Fuji (foto concessa)
Gabriele Enna sul monte Fuji (foto concessa)
Gabriele Enna sul monte Fuji (foto concessa)

Altre cose che trova anomale?

«Passano ore a parlare del nulla. Se c’è un problema, lo si analizza e si propone una soluzione. I giapponesi invece continuano a discutere e vanno avanti a oltranza».

Puntuali, precisi al limite della pignoleria. Condivide?

«Io mi reputo abbastanza preciso sul lavoro ma sono lontano anni luce dal loro livello. Se prepariamo dei disegni che poi devono essere stampati, bisogna utilizzare un font giapponese stabilito. E non è il primo nella lista proposta dal sistema. La differenza, le assicuro, è invisibile. Eppure loro la vedono. E questo perché tutto viene controllato da almeno 2 persone. Ma c’è anche altro».

Dica.

«La mentalità per cui “abbiamo sempre fatto così”, presente dappertutto nel mondo del lavoro. Questo secondo me ha portato a un blocco nell’avanzamento del Giappone. Molte aziende usano il fax per le comunicazioni ufficiali, lo trovo incredibile».

Ha anche messo su famiglia?

«Mi sono sposato tre mesi fa, mia moglie è giapponese ma parliamo molto in inglese».

Gabriele Enna con la moglie durante un viaggio (foto concessa)
Gabriele Enna con la moglie durante un viaggio (foto concessa)
Gabriele Enna con la moglie durante un viaggio (foto concessa)

Casa in stile locale?

«Direi di no, qui lo chiamano in stile western: non ho il tatami, ho porte e finestre “normali”, un appartamento in un palazzo di 12 piani».

Come va in ufficio?

«Col treno, un’ora per andare e altrettanto per tornare, dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 18».

Amici?

«Quelli che ho conosciuto durante la scuola di lingua sono dovuti tornare quasi tutti nei loro Paesi di origine perché non hanno trovato lavoro e quindi erano senza visto. La pandemia, poi, ha bloccato ogni possibilità di frequentazione, adesso sto cominciando a uscire un po’».

Ci sono tanti sardi a Tokyo?

«Non saprei fare una stima precisa, quello che vorrei è che si avvicinassero alla nostra associazione, “Isola – Amici Sardegna Giappone”, riconosciuta dalla Regione nel 2017 e che ha sede al Seadas Flower caffè».

Che è di un sardo.

«No, di un giapponese che fa delle seadas spettacolari. Fa arrivare dalla Sardegna tutto: farina, formaggio, miele. È famosissimo. Il suo locale è il nostro ritrovo, è lì che ci diamo appuntamento per organizzare gli eventi del circolo».

Qualcuno recente?

«Uno a cui teniamo molto, una mostra itinerante nata dall’idea di Emiliano Cappellini, anche lui sardo, che è venuto in Giappone per collaborare con uno studio di architettura. Quando ha capito che la Sardegna era praticamente sconosciuta ha proposto un libro, scritto per metà in italiano e per metà in giapponese, su paesaggi, storia, bellezze archeologiche. Nel frattempo al progetto ha partecipato anche Giovanni Piliarvu, fotografo, presidente del nostro circolo, e ne è nata una mostra che è stata inaugurata la settimana scorsa e poi si sposterà a Osaka e Toyama, e in estate anche a Hokkaido».

Avete molti soci?

«Qualche decina e di varie nazionalità. Ci impegniamo molto nel cercare di far conoscere la Sardegna e la sua cultura. L’associazione del resto è nata nel 2012 su iniziativa di Valeria Pirodda, che oggi è la vice presidente, e da allora vengono promosse varie manifestazioni, soprattutto puntando sui temi che suscitano più interesse come le tradizioni culinarie e le proposte turistiche».

Da destra: Gabriele Enna, Giovanni Piliarvu (presidente dell'associazione Isola-Amici Sardegna Giappone) e Atsuyoshi Hanazawa, titolare del Seadas Caffè (foto concessa)
Da destra: Gabriele Enna, Giovanni Piliarvu (presidente dell'associazione Isola-Amici Sardegna Giappone) e Atsuyoshi Hanazawa, titolare del Seadas Caffè (foto concessa)
Da destra: Gabriele Enna, Giovanni Piliarvu (presidente dell'associazione Isola-Amici Sardegna Giappone) e Atsuyoshi Hanazawa, titolare del Seadas Caffè (foto concessa)

Si dice che il Giappone stia per affrontare una nuova ondata di coronavirus.

«Per il momento siamo tranquilli, indossiamo le mascherine ovunque – che sono solo consigliate, non obbligatorie, ma tutti le hanno -, ci sono i divisori in plexiglass nei luoghi in cui si rischia di più, non mi sembra di vedere grande preoccupazione».

Rimarrà lì tutta la vita?

«Almeno fino alla pensione, spero. Del resto è vero che la Sardegna mi manca, ma qui ci sono tanti lati positivi: se entro in un bar e appoggio il telefono o il portafoglio su un tavolo, nessuno lo toccherà. La microcriminalità è quasi inesistente, questo consente di vivere con più serenità».

Ai giovani sardi che non sanno cosa fare del loro presente e futuro consiglia un’esperienza all’estero?

«Io sono stato obbligato a partire, mio malgrado, così come tante persone che sono alla ricerca di un qualcosa che sia più vicino al loro desiderio di soddisfazione. Purtroppo le opportunità in Italia scarseggiano, manca una politica di aiuto e di sviluppo del lavoro, oltre che di incentivo e di controllo su ciò che viene fatto. E quindi sì, partite, investite su voi stessi. La fortuna potrebbe sempre metterci il suo zampino».

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