Insegnare il sardo dall’altra parte del mondo agli studenti americani e trasmettere loro l’importanza delle lingue “ponte” per imparare a leggere anche ciò che non si conosce. Una sfida che Marc Démont, docente nato a Lille (Francia) 45 anni fa, porta avanti in un’università privata del Kentucky, il “Centre College”, attraverso un metodo di apprendimento incentrato sulle lingue romanze. «Solitamente – spiega a L’Unione Sarda – ci si concentra su quelle “nazionali” come il francese, lo spagnolo, il portoghese o l’italiano, ma in questo attuale corso i ragazzi imparano anche a leggere il sardo. Ho integrato nel materiale didattico diversi testi in limba oltre a uno studio delle caratteristiche sintattiche e fonetiche più salienti».

Quindi, a fine semestre, gli studenti leggeranno una traduzione di "Su Printzipeddu" ("Le Petit Prince" di Saint-Exupéry) in sardo. Un approccio innovativo per una lingua che il professore descrive come «molto viva e internazionale».

Da dove deriva questo suo interesse per le lingue?

«Sono cresciuto in una famiglia e in un quartiere della classe media in cui si parlava regolarmente il "ch'ti", una variante della lingua piccarda. Ovviamente, il mio interesse per la conservazione delle identità e delle lingue regionali deriva da questo specifico background. Poi ho conseguito un master in antropologia e un master in psicologia. Nonostante questo ricco bagaglio formativo, ho avuto difficoltà sul piano professionale e ho deciso di trasferirmi negli Stati Uniti per il dottorato di ricerca in Letteratura comparata e in Linguistica. Questo mi ha permesso di trovare un lavoro nel mondo accademico americano e di sviluppare questo corso sull'intercomprensione e la linguistica romanza nel Kentucky».

Marc Démont in aula (foto concessa)
Marc Démont in aula (foto concessa)
Marc Démont in aula (foto concessa)

Qual è il programma del suo corso?

«Come saprete, il mondo accademico americano è molto diverso dal vostro. Ha molti problemi, ma è sicuramente più flessibile di quello europeo. Ho la possibilità di lavorare per un'istituzione che sostiene fortemente l'interdisciplinarità nella ricerca e nell'insegnamento e di conseguenza sono impegnato su vari fronti: cinema horror e cinema francese, lingue diverse e fonetica per il nostro programma di francese, e intercomprensione e linguistica romanza per il nostro programma di linguistica. La mia istituzione ha anche un vasto programma di studio all'estero e con il mio collega, il dottor Christian Wood, abbiamo sviluppato un programma linguistico annuale a Tahiti con corsi di tahitiano, e attualmente sto sviluppando un programma di studio all'estero in Italia».

Come mai parla italiano?

«Mio nonno era siciliano e io e mio fratello siamo cresciuti circondati da vecchie canzoni italiane e da diversi oggetti domestici, cibo e giocattoli che mia nonna portava dai suoi viaggi in Sicilia. Non mi sono mai reso conto di quanto fossero profondi questi ricordi della mia infanzia fino a un recente viaggio in quella terra. Tutte queste sensazioni visive, gustative, olfattive e tattili mi sono tornate alla mente. È stata una psicanalisi "estetica", in un certo senso. Comunque, ho sempre voluto imparare l'italiano ma non ho mai trovato né il tempo né la pazienza fino a quando, due anni fa, ho fatto domanda per una borsa di studio accademica per trascorrere un periodo a Roma e Firenze e imparare l'italiano. L'estate migliore che abbia mai trascorso. Ho continuato a esercitarmi con corsi online per migliorare le mie capacità di conversazione. E poi ho scoperto la Sardegna e la sua gente».

Quindi nell’Isola c’è già stato?

«Sì e molte volte. L'anno scorso è stato più facile perché insegnavo a Strasburgo e appena potevo scappavo dal freddo per andare a Cagliari. Ho visitato un bel po' del sud e della costa sud-orientale. E ora vorrei scoprire di più la parte settentrionale. Quest'estate ho intenzione di dividere il mio tempo tra la Sardegna e la Sicilia, un'altra isola affascinante. Forse troverò il tempo di percorrere finalmente il Selvaggio Blu in Ogliastra e di prendere il trenino verde. E l'anno prossimo insegnerò di nuovo a Strasburgo, quindi sono nel mio programma altre fughe in Sardegna». 

Come ha “incontrato” nella sua vita il sardo?

«Diciamo che l'innamoramento è probabilmente la migliore motivazione per imparare le lingue e, nel mio caso, è un metodo linguistico molto efficace. Più seriamente, ho sentito parlare della lingua sarda a causa della sua situazione molto specifica nell'albero genealogico delle lingue romanze e, non appena ne ho avuto l'opportunità, mi sono subito interessato alle sue caratteristiche fonetiche e sintattiche. Da questo primo "incontro" con il sardo, torno regolarmente in Sardegna e ho imparato a leggerlo abbastanza bene. Tuttavia, quest'estate ho intenzione di sviluppare le mie capacità linguistiche grazie a un'altra borsa di studio dell'Università».

Gli studenti del professor Démont (foto concessa)
Gli studenti del professor Démont (foto concessa)
Gli studenti del professor Démont (foto concessa)

Quale metodo utilizza per l’insegnamento del sardo?

«È una bella domanda, perché è qui che sta l'originalità del corso che si intitola "Intercomprensione e linguistica romanza" e non si tratta solo di imparare a leggere in sardo, ma anche in francese, spagnolo, italiano, portoghese e catalano. L'intercomprensione, come abilità, descrive semplicemente la capacità degli interlocutori di una stessa famiglia linguistica di capire spontaneamente qualcosa l'uno dall'altro grazie al maggior numero di parole affini e alla familiarità della sintassi. Ebbene, come ogni abilità, può essere lavorata e migliorata con la pratica e la riflessione meta-linguistica».

Un approccio moderno?

«L’intercomprensione come campo di ricerca risale agli anni '70, ma si è sviluppata a partire dagli anni '90, quando sono stati lanciati una serie di metodi e progetti - la maggior parte dei quali sostenuti dall'Unione Europea - con l'obiettivo di sviluppare questa abilità. Oggi sono disponibili diversi metodi e la maggior parte di essi si concentra sulle cosiddette abilità linguistiche passive, come l'ascolto o la lettura. Personalmente mi baso sulla lettura e uso EuRom5, ma recentemente Zanichelli ha pubblicato "PanromanIC", anch'esso ottimo».

Metodi e progetti che hanno qualcosa in comune?

«Sì, alcune caratteristiche: l'attenzione alla comprensione, l'approccio plurilinguistico, l'uso di competenze parziali e lo sviluppo di riflessioni e strategie meta-linguistiche. Senza entrare in dettagli che potrebbero risultare noiosi, questo significa che invece di guardare alle lingue in modo isolato, come "la lingua francese" o "la lingua spagnola", le guardiamo nella loro interconnessione e sviluppiamo tecniche per identificare questa interconnessione. Da questo punto di vista, un francofono sa già qualcosa dello spagnolo, dell'italiano e persino del sardo solo perché condividono la stessa storia linguistica».

Com’è l’approccio degli studenti?

«Somministro loro una serie di test di posizionamento linguistico. Quelli che parlano francese si stupiscono sempre di vedere che di solito ottengono un livello A2 (principiante avanzato) in italiano, anche se non l’hanno mai studiato formalmente. Quindi, questo è il nostro punto di partenza, una lingua "ponte" (il francese, per esempio), e ci basiamo sulla conoscenza di questa lingua romanza per costruire ponti verso altre lingue romanze. È un metodo molto pragmatico, che fa meno paura, ed è davvero radicato ai valori associati al "multilinguismo"».

Marc Démont (foto concessa)
Marc Démont (foto concessa)
Marc Démont (foto concessa)

Ci dica qualcosa in più della sua conoscenza del sardo.

«La parte interessante del metodo che utilizzo è che tutte le lingue sono percepite come uguali da un punto di vista didattico. Sono diverse varianti di una lingua madre (il latino volgare) e ognuna di esse può essere usata come lingua "ponte" e insegnare qualcosa sulle altre lingue "sorelle". E credo che questa sia una fantastica opportunità per le nostre lingue regionali di essere incorporate nei programmi di studio nazionali senza tenere conto dell'"utilità" economica o pratica della lingua. In questo senso, imparare o reimparare il sardo è utile quanto imparare lo spagnolo e dovrebbe essere usato come prima esperienza di lingua "straniera", per comprendere il proprio universo linguistico e l'originalità della propria cultura, per aiutare gli studenti a sviluppare tecniche di apprendimento delle lingue e per prepararli meglio ad apprendere lingue più lontane linguisticamente e culturalmente».

Quali sono le difficoltà più grandi?

«Inizio sempre lo studio di un testo con la registrazione da parte di un madrelingua. Ritengo che sia importante per gli studenti avere un'idea della pronuncia e della melodia di una specifica lingua. Gli americani sono esposti allo spagnolo abbastanza regolarmente e un po' meno al francese e all'italiano. Il sardo suona loro molto estraneo, tanto quanto il portoghese, per cui sono piuttosto spiazzati e divertiti dall'alto numero di fricative e affricate, che è probabilmente la caratteristica fonetica distintiva più saliente del sardo per gli stranieri. Dopo una rapida panoramica sulle specificità sarde dei cambiamenti vocalici, dell'indebolimento e del rafforzamento consonantico e della sintassi, gli studenti hanno di solito tutte le chiavi per iniziare a leggere e a fare collegamenti con le loro conoscenze delle lingue romanze. Ben presto la lingua perde la sua estraneità e iniziano a vedere la romanità sotto le caratteristiche "esotiche". Dopo una o due sessioni, hanno sviluppato abbastanza strategie e un vocabolario di base per comprendere globalmente testi che classificherei come A2 (principiante avanzato). Il progetto è di far leggere loro “Su Printzipeddu”, che è tutt'altro che un testo semplice, e il sardo sarà una delle lingue su cui verrà testata la loro abilità di lettura con l’intercomprensione».

Quale versione di sardo utilizza?

«È proprio qui che il metodo contribuisce a mettere in luce i problemi della politica delle lingue regionali. A rischio di sembrare ignorante e probabilmente un po' provocatorio, rispondo che da un punto di vista didattico non mi interessa quale sardo leggiamo, purché sia "sardo". In altre parole, ciò che conta per me è lo sviluppo di competenze pratiche e il fatto che i miei studenti abbiano letto un testo in Limba Sarda Comuna e possano vedere da soli le somiglianze tra le varianti del sardo e capire il contenuto del testo. Quindi sanno che ci sono più sardi e non solo uno, ma quello che ci interessa in classe, prendendo fonti diverse, è discernere l'unità strutturale per capire le sue variazioni manifeste».

E il problema politico?

«Molto spesso, e lo si è visto anche con il bretone in Francia, quando si tratta di impostare una politica di conservazione delle lingue regionali, ci si scontra con dispute campanilistiche, e questo in modo piuttosto letterale, in cui ogni paese difende il suo vocabolario, la sua pronuncia, la sua scrittura e la sua particolare sintassi. Se questo tipo di riflessione sulla ricchezza di un gruppo linguistico è abbastanza sano da un punto di vista teorico, dall'altro impedisce una standardizzazione della lingua e quindi l'attuazione di una solida politica di conservazione delle lingue regionali. I detrattori sono spesso troppo veloci nel puntare il dito e dire "vedete, vogliono una politica linguistica regionale ma non sanno nemmeno mettersi d’accordo su che lingua parlare". Penso che il profondo plurilinguismo dell'intercomprensione e il fatto che sia più interessata al quadro generale che ai dettagli sia una bella soluzione metaforica a un problema politico».

Tornando al sardo, secondo lei è una lingua viva?

«Questa è una certezza per chi ha avuto la possibilità di trascorrere un po' di tempo nei tanti paesi dell’Isola, ricordo ad esempio Orune, nel Nuorese, dove ho notato che bambini e giovani adulti giocano e discutono in sardo. Tuttavia, allo stesso tempo, il fatto che sia purtroppo anche una lingua in via di estinzione e che sia classificata come "definitivamente in pericolo" dall'Unesco dovrebbe essere sufficiente per allarmare le autorità competenti. Che la lingua appartenga ai suoi locutori - non all'amministrazione, non alla scuola, non ai linguisti, non ai grammatici - è a mio avviso la conclusione fondamentale della sociolinguistica. Certo, uno Stato può sostenere, un'organizzazione può finanziare, un linguista può suggerire e normalizzare, ma alla fine, se non c'è interesse a parlare la lingua, se non c'è uno sforzo reale per essere creativi e per dare energia al rapporto tra l'identità sarda e le sue lingue, temo di poter dire che la lingua è destinata a scomparire».

C’è però qualche tentativo di recupero.

«Sì, fortunatamente sembra che negli ultimi anni ci sia stato un vero e proprio sforzo per reintrodurre la lingua nelle scuole e nell'amministrazione. Ci sono anche associazioni e progetti innovativi come "Academia de su sardu" e il suo interessante progetto lemONS. Tutto ciò indica che potrebbe esserci una "rinascita" popolare del sardo, e non vedo l'ora di assistervi».

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