Pietro Mariani è un signore che alle nuove esperienze è andato incontro, non le ha mai vissute in modo passivo fin da quando, ancora ragazzo, ha cominciato a bazzicare nel mondo dell’informatica legata alla cinematografia e regia. È così che ha iniziato a lavorare per le tv locali, anche per Videolina, e per un soffio non è entrato in Fininvest, dove ha superato il colloquio con Adriano Galliani “ma per il veto di qualcuno, e so bene di chi parlo, non sono stato confermato”.

Da questa delusione è nato un viaggio con un amico cagliaritano, Antonio Lo Faro, “il più famoso venditore di pentole di tutta l’Isola”, destinazione Madrid. “Era l’unica meta disponibile per il Natale e Capodanno nel 1987”. Un viaggio che gli ha cambiato la vita.

A suggellare il grande impegno profuso anche nel mondo dell’emigrazione sarda verso la Spagna, e non solo, arriva un grande riconoscimento, morale ma che richiede anche energie che Mariani, a 64 anni e ormai in pensione, è pronto a mettere a disposizione del Cgie (Consiglio generale degli italiani all’estero): la nomina a consigliere. È uno dei due – insieme a Giuseppe Stabile – espressi dalla Spagna. Mariani è stato anche presidente del Comites (Comitato degli italiani all’estero) di Madrid, oltre che fondatore del locale circolo sardo “Ichnusa”, nel 2002.

Il suo pallino è sconfiggere la burocrazia, e con l’esperienza da informatico punta a semplificare pratiche amministrative e tagliare i tempi “perché oggi basta un clic per ottenere ciò che spesso è imbrigliato dall’analogico”.

LA NUOVA CARICA IN CGIE – È un ente formato da 63 consiglieri, 43 dei quali vengono eletti direttamente all’estero e 20 sono di nomina governativa; rappresenta un collegamento permanente tra le comunità italiane all’estero e il Paese di origine. Ne è presidente il ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.

LA FUNZIONE – Per la sua candidatura al Cgie, Mariani ha presentato un articolato programma da attuare nei prossimi 5 anni, in particolare sulla burocrazia: “Chi ha ideato i sistemi attualmente in vigore – spiega a L’Unione Sarda – non ha mai vissuto all’estero, non conosce le difficoltà e ragiona come per gli italiani in Italia”.

Non è un caso che preferisca occuparsi di temi informatici, dato che anche lui ha vissuto difficoltà legate alle pratiche amministrative di un italiano all’estero, come di tanti sardi nel mondo.

Facciamo un passo indietro: chi è Pietro Mariani?

“Mi definisco un televisionaro. Ho cominciato con Antonello Cara, docente di cinematografia che viveva nel mio stesso palazzo a Cagliari, che mi ha insegnato i rudimenti tecnici e mi ha proposto di entrare a ‘La voce sarda’, la rete di Gianni Onorato. Facevo il regista del tg delle 8 del mattino, un’innovazione per l’epoca. Ma non solo: in quegli anni la domenica mattina la Rai trasmetteva solo la Messa, allora ho proposto un programma contenitore, il primo in Italia per tutta la famiglia, ‘Il mercante in fiera’. Il successo è stato enorme e nel 1981 è arrivato il riconoscimento del Telegatto”.

La sua carriera come è andata avanti?

“Nel 1986 ho provato a entrare nell’allora Fininvest. Cercavano un manager per la parte tecnologica, il colloquio con Adriano Galliani era andato bene e, tornato in Sardegna, ho aspettato una loro chiamata. Alla fine una telefonata arrivò, ma da un’altra persona, che mi disse: ‘Lei è un valido professionista ma è stato messo il veto sulla sua assunzione’. Non faccio nomi, ma so bene da dove è arrivato. Mi è crollato il mondo addosso, nemmeno allora esisteva la meritocrazia. Ero così abbattuto che volevo andarmene e la prima occasione è stata una vacanza per Natale e Capodanno nel 1987. La meta scelta, con il mio amico Antonio Lo Faro, il più famoso venditore di pentole di tutta l’Isola, era l’Asia ma era tutto esaurito, di libero c’era solo Madrid”.

Il primo incontro con la capitale spagnola.

“E che ha anche cambiato la mia vita. Ma tutto è nato proprio da quel viaggio. Una sera in un locale abbiamo conosciuto la Chunga, la prima ballerina di flamenco. Non una qualunque: la Chunga, che significa ‘difettosa’, soprannome datole perché da bambina era sonnambula, è stata la musa ispiratrice di Dalì. Ci ha preso in simpatia e ci ha fatto entrare nel mondo chic di Madrid, lei faceva il suo ingresso nelle sale da ballo e la folla si apriva in due ali, era adorata da tutti, e noi dietro come valletti”.

Vacanza finita, ritorno a Cagliari?

“Sì, al mondo reale. Lavoravo e regolarmente andavo a Milano per i palinsesti di Odeon tv che in Sardegna era distribuita da Sardegna 1. Un giorno, per caso, incontro a Linate il mio amico Antonio. Facciamo una pazzia: prendiamo un aereo per Madrid. Per farla breve, abbiamo cominciato la nostra avventura, giocando la carta della fortuna. Per 10 mesi ho girato tutta la Spagna per imparare benissimo la lingua. Quando i soldi stavano per finire mi sono fermato per cercare un’occupazione. Avevo conosciuto il Berlusconi spagnolo della tv via cavo a una fiera di Siviglia, Antonio Carrillo, che mi ha voluto come direttore operativo. ‘Non sei spagnolo e quindi ti rispetteranno’, mi diceva. Il salario era buono, ho cominciato il primo novembre 1989 e sono rimasto quasi cinque anni. In pratica ho trasformato la sua azienda che aveva un solo canale in un’azienda industriale che distribuiva 30 canali, con oltre 300 dipendenti”.

E la vita privata?

“In quegli anni ho conosciuto mia moglie, ci siamo sposati nel 1990. Nel suo paesino ero probabilmente l’unico straniero che avevano visto negli ultimi 200 anni. Abbiamo avuto due figlie e sono anche nonno”.

Ha avuto problemi legati all’immigrazione in Spagna?

“Per essere assunto sono andato all’ufficio stranieri per chiedere il permesso di soggiorno e lavoro. Facevo interminabili file insieme a cinesi, africani, pochissimi europei. Il primo permesso l’ho avuto a fine 1989, sei mesi la durata. Non potevo avere altro: il datore presentava i miei contratti a tempo indeterminato ma non venivano accettati dato che il mio profilo professionale era considerato troppo competitivo rispetto a quelli degli spagnoli, quindi concorrenza. Per tre anni ho sofferto la discriminazione, senza diritti di cittadinanza reale, come un profugo. Cose che oggi accadono anche in Italia, e mi vengono le lacrime agli occhi dato che io le ho vissute sulla mia pelle”.

Succedeva anche altrove.

“Certo, in Svizzera, in Belgio: gli italiani erano considerati carne da macello. Non stranieri, peggio: numeri, che apportavano qualcosa ma non ricevevano nulla in cambio”.

Poi le cose sono cambiate.

“Sì, quando ho creato la mia impresa di servizi per le tv via cavo, sono diventato agente commerciale e distributore di diritti televisivi via satellite di grandi tv. Grazie a importanti contratti è arrivata la vera svolta, tornando poi anche alla mia prima attività, quella di dirigente della trasformazione da analogico a digitale. Dove c’era un traliccio c’ero io. La crisi è arrivata nel 2008: mi sono chiuso in casa fino al 2012 e mi sono dedicato alla solidarietà”.

Da sinistra: Andrea Lazzari (presidente Comites Madrid), Riccardo Guariglia (ambasciatore a Madrid), Livia Paretti (presidente Comites Barcellona), Pietro Mariani, Maurizio Mior (presidente Comites Arona, Canarie) (foto concessa)
Da sinistra: Andrea Lazzari (presidente Comites Madrid), Riccardo Guariglia (ambasciatore a Madrid), Livia Paretti (presidente Comites Barcellona), Pietro Mariani, Maurizio Mior (presidente Comites Arona, Canarie) (foto concessa)
Da sinistra: Andrea Lazzari (presidente Comites Madrid), Riccardo Guariglia (ambasciatore a Madrid), Livia Paretti (presidente Comites Barcellona), Pietro Mariani, Maurizio Mior (presidente Comites Arona, Canarie) (foto concessa)

Quando ha cominciato nel Comites?

“Nel 2003 sono stato eletto consigliere del Comites di Madrid. Ho studiato le leggi, e ho recuperato anche l’italianità. Nel 2015, in occasione del rinnovo, ho presentato la mia lista, ho vinto le elezioni e sono diventato presidente del Comites di Madrid che ho gestito per 6 anni, mettendo al servizio di tutti la mia esperienza nei vari campi: comunicazione, internet, reti sociali, il passaggio dall’analogico al digitale. E ha funzionato: oggi ho contatti con migliaia di persone legate all’emigrazione, sono presente in tantissimi gruppi del mondo social in cui gli italiani che emigrano chiedono informazioni di prima mano”.

E i sardi in Spagna?

“Oggi non sono tanti, eravamo molti di più 20 anni fa. La loro presenza è scesa perché la Sardegna ha assorbito, col ricambio generazionale, tanti giovani che hanno studiato informatica nelle università, quindi continuano a emigrare quelli che hanno titoli di studio di livello più basso. Ma, attenzione, non se ne vanno muratori o elettricisti: questi non hanno possibilità di rimanere in Spagna, qui c’è troppa concorrenza”.

I circoli sardi?

“Di quello di Madrid sono stato tra i fondatori insieme a Gianni Garbati nel 2002, quello di Barcellona è nato prima grazie a Raffaele Melis. Quelli che li frequentano sono circa un centinaio a Madrid, sui 300 a Barcellona. Ci saranno tanti altri sardi in queste città ma non sono coinvolti. Perché queste associazioni non hanno più la funzione di aggregazione del passato: ritrovarsi, fare un ballo sardo e cantare la battorina sono cose che ai giovani ora non interessano più”.

Chi è l’emigrato?

“Innanzitutto uno che pensa come ultima cosa da dove è partito: il suo unico obiettivo è mimetizzarsi, imparare la lingua. Chi partiva negli anni ’60 e ’70 non aveva una grande cultura, l’unica valvola di sfogo era aggregarsi, fare gruppo, difendersi verso il ‘nemico’. Con l’Europa unita tutto è cambiato, oggi non si vuole essere riconosciuti come stranieri dal punto di vista culturale”.

Lo Stato italiano ha dato un contributo a chi se ne andava?

“C’è stato un grande buco di cui mi sono reso conto: l’Italia ha aiutato la crescita di circoli e patronati ma poi ha perso il treno, è arrivata la nuova tecnologia e non si è adattata. È lì che è nato il Cgie, che dovrebbe interpretare i cambiamenti per spingere gli enti a modernizzarsi. Il problema più grave di oggi è: quando si deve informare chi decide di andare via dall’Italia? In partenza o all’arrivo? Per me alla partenza. Un cagliaritano, ad esempio, che voglia andare in Australia deve poter andare al suo Comune e chiedere informazioni su come muoversi. Il funzionario gli può spiegare come si ottengono i permessi di permanenza e di lavoro, cose che i giovani non sanno e rischiano di sbattere la testa contro muro, perdendo mesi e soldi prima di capire come funziona il Paese che hanno scelto. Del resto l’emigrazione non si può fermare”.

Emigrazione o espatrio?

“Chi emigra sa di non poter tornare più a casa, non succede quasi più. Patria è dove si nasce, il tuo paese, le tue tradizioni”.

Tra i nuovi Paesi di destinazione è entrato di recente il Portogallo.

“Sta crescendo tantissimo. Da un lato i pensionati italiani, che vanno lì sei mesi l’anno, dall’altro i giovani poiché le grandi multinazionali stanno assumendo nel settore dei contact center multilingue, danno anche la casa, lo stipendio non è alto, con contratti di sei mesi in sei mesi. Chi è bravo fa carriera”.

Lei è stato più bravo o più fortunato? 

“Alcune volte sono stato nel posto giusto al momento giusto, ma le occasioni che ho avuto le ho sapute sfruttare e spremere fino in fondo. Sono stato attento ai cambiamenti e ai segnali che mi ha dato la vita, e nel mio piccolo ho tentato di restituire la fortuna a chi non l’ha avuta. Quando usciamo dalla nostra comfort zone bisogna camminare con la mente aperta, niente accade per caso”.

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