Sulla questione “migranti”, il Governo a guida di Giorgia Meloni parrebbe giocare la sua partita più importante, viste e considerate, in particolar modo, e per un verso, le “battaglie” politiche e ideologiche sostenute dal partito di appartenenza, Fratelli d’Italia, e dallo stesso caldeggiate nel corso dei lunghissimi anni trascorsi tra i banchi dell’opposizione parlamentare e, visto e considerato,  per l’altro verso, l’affidamento, che su quelle premesse ideologiche, il popolo degli elettori di riferimento aveva riposto nell’esprimere il proprio voto lo scorso 25 settembre 2022. 

Non si tratta di offrire, o tentare quanto meno di farlo, un bilancio di questo primo anno di governo. Piuttosto e con buona verosimiglianza si vorrebbe cercare di comprendere se quel decantato accordo siglato il 4 ottobre scorso a Bruxelles dagli ambasciatori dei diversi Paesi Europei in relazione ai contenuti maggiormente discussi e controversi del più ampio “Patto Europeo sulle Migrazioni” per far fronte a potenziali afflussi massivi di persone possa considerarsi davvero e definitivamente risolutivo. Tanto più allorquando, proprio rispetto a quell’accordo, vi sia stata la ferma opposizione di Polonia e Ungheria e, nel contempo, vi sia stata altresì la astensione di Austria, Slovacchia e Repubblica Ceca. Al di là, e financo oltre, ogni questione in merito al ruolo delle cosiddette “Ong” e alla posizione assunta dalla Germania sul punto, gli interrogativi sul carattere efficacemente risolutivo di quell’accordo parrebbero a tutt’oggi sussistere specie in ragione della vigenza persistente del Trattato di Dublino e, di conseguenza, della sua discussa regola del “primo approdo” la quale, invero, fino ad oggi, ha declinato la responsabilità di provvedere ad ogni e qualsivoglia obbligo di esame delle differenti domande sul Paese di primissimo ingresso.

Il nuovo accordo, in buona sostanza, sostituisce, in relazione al “primo approdo”, la relativa norma del Trattato di Dublino, oppure, semplicemente, e medio tempore, ne sospende solamente gli effetti? Anche a tutto voler considerare e concedere, siffatto accordo, parrebbe porsi solamente nei termini di sua temporanea applicazione. Ma l’interrogativo parrebbe comunque non essere di scarso rilievo pratico siccome il suo riscontro, in un senso o nell’altro, sembrerebbe prestarsi ad offrire risposte ulteriori su circostanze al medesimo riconnesse. Dicendolo altrimenti: 1) se si considera che al Parlamento Europeo vi sarebbero ben sette gruppi politici, ossia Partito Popolare Europeo, Alleanza Progressista di Socialisti e Democratici, Renew Europe Group, Gruppo dei verdi/Alleanza libera Europea, Gruppo dei Conservatori e Riformisti Europei, Gruppo Identità e Democrazia, Sinistra al Parlamento Europeo – GUE/NGL; 2) se si considera, con riferimento alla coalizione  di maggioranza di Governo, che la stessa Giorgia Meloni ha presieduto il Gruppo dei Conservatori e Riformisti, che invece Forza Italia ha aderito in passato al Partito Popolare Europeo e verosimilmente continuerà ad insistere su questa scelta, mentre la Lega siede in Europa unitamente al Gruppo di Identità e Democrazia; 3) se ancora si considera che i tre differenti gruppi di appartenenza europea della coalizione di Governo, per diverse ragioni, sembrerebbero chiamati ad esprimere sensibilità ed esigenze differenti rispetto alle tematiche maggiormente stringenti delle politiche comunitarie, immigrazione e conflitto russo-ucraino in primis; 4) allora, se si considerano tutte le rappresentate sfumature, in quale maniera, siffatte differenti sensibilità, esprimenti posizioni nette e in molti casi contrapposte sulle tematiche di attuale interesse, potranno continuare a condividere politiche comuni anche in vista delle vicinissime, oramai, competizioni elettorali europee? L’interrogativo potrebbe pure prestarsi ad interpretazioni molteplici, sia pure tutt’altro che di semplice soluzione e, pertanto, sarà importante osservare l’atteggiamento politico dei singoli partiti di coalizione in merito alle differenti tematiche in discussione anche solo al fine di poterne apprezzare o meno la coerenza sul piano ideologico e strumentale di intervento concreto.

Nel prossimo futuro, ad offrire le prime risposte sugli interrogativi che ancora parrebbero sussistere in merito al carattere efficiente di siffatto ridetto accordo, sarà la applicazione che in concreto verrà fatta del cosiddetto ripensato “sistema di ricollocamento” che, se dovesse restare sul piano intenzionale della carta, sarebbe idoneo a porre in discussione non solo i termini europei delle alleanze, ma financo la tenuta stessa, sul piano nazionale, dello stesso Governo Meloni. In una Europa che pareva aver fatto della questione sociale un pilastro cardine di ogni politica di sviluppo e integrazione (Europa dei Popoli), ogni potenziale defezione potrebbe costituire una “criticità” idonea a rimetterne in discussione l’intero impianto, presupposti fondanti compresi. Stando agli intenti, e salvo errore, il Patto Europeo sulle Migrazioni è tutt’altro che riferibile alla attualità, essendo stato proposto dalla Commissione Europea nel mese di settembre dell’anno 2020 con il preciso scopo di sostituire il Regolamento di Dublino, all’esito, e all’evidenza, ancora vigente e operante.

Dunque, se tale parrebbe essere lo stato dell’arte, in quale modo sarà possibile conciliare l’esigenza di rispondere al principio di solidarietà senza mortificare quello di responsabilità dei singoli Paesi membri e viceversa? Il sistema dei ricollocamenti parrebbe (e il condizionale è d’obbligo) imporre il principio di “solidarietà obbligatoria”, come da più parti è stata definita, la quale invero, già a livello espressivo, parrebbe riflettersi in maniera non troppo convincente se si considera che la solidarietà dovrebbe essere ispirata da un moto deliberatamente autonomo dell’animo. Il tempo, come sempre, si rivelerà Signore e potrà offrire ogni chiaro riscontro. E sempre il tempo potrà dire se il 4 ottobre 2023 a Bruxelles, vi sia stata o meno una svolta sulla specifica questione specie in relazione alla posizione italiana la quale, senza una riforma definitiva del trattato di Dublino, sembrerebbe apparire destinata ad essere soggetta all’adempimento dell’accordo da parte degli altri Paesi Membri europei. Al di là di tutto, tuttavia, l’accoglienza e l’integrazione dovrebbero restare un pilastro imprescindibile di ogni Comunità di rilievo nazionale, europeo e internazionale.

Giuseppina Di Salvatore

(Avvocato – Nuoro)

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