Venerdì la riforma costituzionale per l'elezione diretta del premier sarà sul tavolo del Consiglio dei ministri, dopo il via libera dei leader di maggioranza riuniti a Palazzo Chigi con la premier Giorgia Meloni.

A quel punto per il disegno di legge costituzionale si aprirà la strada del Parlamento, con i suoi quattro passaggi tra Camera e Senato.

Il vertice a Palazzo Chigi ha “sdoganato” un testo che ha trovato d'accordo i quattro partiti che sostengono l'esecutivo, rappresentati al tavolo da Matteo Salvini, Antonio Tajani e Maurizio Lupi. Superate dunque le tensioni che negli ultimi mesi hanno messo in contrapposizione il premierato - considerata una legge bandiera di Fratelli d'Italia - con la riforma dell'autonomia spinta dalla Lega e che potrebbe avere il primo ok del Senato entro la fine dell'anno.

Nei contenuti, si tratta di una riforma snella, racchiusa in cinque articoli che, nelle intenzioni della maggioranza, dovrebbe entrare in vigore dalla prossima legislatura.

Si parte dall'elezione diretta del premier, e non più del presidente della Repubblica come indicato nel programma elettorale di un anno fa.  Concretamente la riforma punta a rivoluzionare l'elezione del capo del governo (scelto direttamente dai cittadini in un unico turno, per 5 anni) e a rafforzarne il ruolo, cercando allo stesso tempo - come sottolineato da diversi esponenti della maggioranza - di non alterare troppo il resto dell'architettura costituzionale.

Un equilibrio non semplice da garantire, soprattutto per non indebolire troppo le prerogative del capo dello Stato, la figura istituzionale che negli ultimi anni ha tenuto un ruolo di supplenza di fronte alle crisi politiche. Ma proprio per la delicatezza della riforma e il suo coinvolgimento indiretto, il Quirinale non interviene. Secondo la riforma, "perso” il potere di nomina del premier (come prevede oggi l'articolo 92 della Costituzione), il presidente della Repubblica mantiene la possibilità di assegnargli l'incarico e di nominare i ministri, sempre su indicazione del capo del governo. 

A parte l'elezione diretta del premier, tra le principali novità della riforma spicca l'addio ai senatori a vita nominati per «alti meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario». Così quella di Liliana Segre rischierebbe di essere l'ultima nomina a senatrice a vita da parte del Quirinale. E il capo dello Stato perderebbe una sua prerogativa, a volte criticata per il peso che i senatori a vita hanno nelle dinamiche parlamentari.

(Unioneonline/D)

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