I l dibattito sulle autonomie regionali, avviato dal ministro Calderoli con la presentazione di una bozza di disegno di legge sulle autonomie differenziate, ha visto il generale consenso dei presidenti delle Regioni del Nord, e la forte contrapposizione di tutti i presidenti del Sud e delle isole.

La proposta, in linea con il vecchio disegno della Lega Nord di Bossi, sottoposta nei giorni scorsi all’esame della Conferenza dei presidenti delle Regioni, ha subìto una pausa di riflessione per le perplessità manifestate da Forza Italia e FdI, preoccupati, con la premier Giorgia Meloni, di garantire l’unità d’Italia. Anche il centrosinistra ha espresso violente critiche alla modifica.

Secondo la Costituzione, come è noto, l’Italia è formalmente costituita, dalle 20 Regioni indicate nell’articolo 131, delle quali 15 sono le Regioni ordinarie, e 5 quelle ad Autonomia speciale, ex articolo 116, per il quale “il Friuli Venezia Giulia, la Sardegna, la Sicilia, il Trentino-Alto Adige e la Valle d’Aosta dispongono di forme e condizioni particolari di autonomia, secondo i rispettivi statuti speciali adottati con legge costituzionale”.

L a riforma Calderoli, quindi, vorrebbe parificare a tali Regioni speciali (per le quali le motivazioni erano ben presenti ai Costituenti) tutte le Regioni italiane (soprattutto quelle del Nord) attraverso un procedimento che, decritto nell’articolo 2 della proposta, porterebbe a lunghe Intese Stato-Regione, con plurimi passaggi in Regione, nel Governo ed alle Camere, che sarebbero finalizzate a dare, a tutte le Regioni, poteri ben maggiori rispetto a quelli ora attribuiti alle 5 Regioni speciali, compresa la Sardegna, alla quale peraltro, la linea centralistica di Governo, Parlamento, e recentemente della Corte Costituzionale, ha sinora concorso a svalutare la sua specialità autonomistica (specie in materia di paesaggio e di governo del territorio) ed ha sempre più limitato i suoi poteri autonomistici.

La proposta Calderoli “svuota” il significato dell’articolo 116 della Costituzione, originariamente riservato alle Regioni speciali, pur se non si può non ricordare che già con la riforma del titolo V della Costituzione, nel 2001, tale articolo era stato già stravolto dalla maggioranza dell’Ulivo che aveva scardinato l’originaria formulazione dedicata solo alle 5 Regioni ad autonomia differenziata, quattro delle quali (compresa la Sardegna) con Statuto Speciale approvato direttamente dall’Assemblea Costituente.

Nel 2001 si è inserito, infatti, un ultimo comma dedicato alle Regioni ordinarie: “Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti le materie di cui al terzo comma dell’articolo 117” (ossia tutte le competenze di legislazione concorrente delle Regioni), oltre che in materia di giustizia, “limitatamente all'organizzazione della giustizia di pace”, ed in materia di “norme generali sull'istruzione” e di “tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali”.

Prevedendosi, per tali materie che le maggiori competenze “possono essere attribuite ad altre Regioni, su iniziativa della Regione interessata, sentiti gli enti locali” con legge dello Stato “approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti, sulla base di intesa fra lo Stato e la Regione interessata”.

Rispetto all’attuale proposta di Calderoli, quindi, la Sardegna non può restare assente, ma deve tutelare la sua specialità, operando a livello nazionale perché prioritariamente si garantiscano a tutti i livelli essenziali delle prestazioni, e si superi poi il gap infrastrutturale esistente oggi in Sardegna, perseguendo l’obbiettivo fondamentale, sancito dall’articolo 13 dello Statuto Speciale, della Rinascita.

Si dovrebbe perciò convocare una sessione speciale del Consiglio Regionale, per definire con tutto il popolo sardo, maggioranza ed opposizione, nell’interesse della Sardegna, ed in attuazione del principio di insularità, l’obbiettivo per il quale “lo Stato col concorso della Regione dispone un piano organico per favorire la rinascita economica e sociale dell'Isola”, obiettivo purtroppo non raggiunto negli anni Sessanta del secolo scorso, ma tutt’ora valido, e che deve essere riproposto e rilanciato da tutte le forze p olitiche, economiche e culturali della Sardegna.

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