È stata approvata la proposta di riforma del Codice di autoregolamentazione Media e minori: si tratta di un risultato storico, se si considera che quello in vigore risaliva al 2002. All’epoca – 21 anni fa - le emittenti televisive nazionali e locali, consapevoli della responsabilità sociale legata alle loro attività editoriali e in presenza di un quadro legislativo ancora lacunoso, avevano stabilito una serie di regole di autodisciplina affidate ad uno specifico Comitato. Le norme, allora come oggi, sono volte soprattutto a garantire un opportuno livello di protezione dei minori da trasmissioni nocive o non idonee.

M a le norme servono anche a garantire un’adeguata disponibilità di programmi adatti ai minori e di programmi a loro specificamente rivolti. La riforma del Codice del 2002 dovrà ora passare al vaglio del Ministro delle Imprese e del Made in Italy per diventare operativa, ma con ogni probabilità si tratterà di una formalità.

L’aggiornamento, in alcune parti una vera e propria riscrittura del Codice, è stato reso necessario dalla sempre più rapida evoluzione dei mezzi tecnologici a disposizione di chiunque ed è stato reso possibile dall’armonia con cui il Comitato ha lavorato negli ultimi mesi, alle prese con una sfida in cui bisogna saper correre. Con l’evoluzione dello scenario tecnologico e mediale – legato alla digitalizzazione dei contenuti e alla comparsa di nuovi soggetti fornitori di servizi di media audiovisivi – si è infatti assistito a una radicale trasformazione dell’accesso ai prodotti audiovisivi, con la conseguente possibilità di fruizione dell’offerta audiovisiva via web (su tv, computer o mobile) in grado di determinare forme di visione integrate, svincolate da rigide logiche di palinsesto, orario di emissione, luogo e modalità di consumo. Oltre a questo, la tecnica del digitale terrestre e la consequenziale moltiplicazione dei servizi di media audiovisivi hanno comportato indubbiamente nuove opportunità per i minori e le famiglie: accanto alle tradizionali reti generaliste, ne sono nate numerose interamente dedicate a una programmazione rivolta a bambini e ragazzi, diversificate a seconda delle differenti fasce d’età e dello sviluppo delle competenze cognitive, emotive e relazionali dei minori.

È per questo che ho personalmente sostenuto – durante i lavori del Comitato – la necessità di due importanti integrazioni, entrambe accolte in sede di approvazione. La prima è la prospettiva con cui ripensare il Codice, che – stante la rapidità del cambiamento in atto – dovrà prima o poi vincolare, oltre alle reti tradizionali, anche i fornitori di servizi di accesso alla rete, con particolare riferimento alle società proprietarie delle piattaforme social e di condivisione di contenuti video. Resta il nodo della legislazione in capo a questi soggetti: la loro collocazione in altre parti del pianeta (si pensi a Meta, proprietaria di Facebook, Instagram e Whatsapp) rende estremamente complessa la sfida della regolazione, che non può essere affidata ad un legislatore nazionale, che per definizione può normare solo ciò che accade nel suo territorio.

La seconda è legata ai canali social delle emittenti televisive firmatarie del Codice: non era infatti pensabile che queste, mentre si vincolavano a rispettare sul mezzo televisivo precise norme a tutela dei minori, mantenessero una sorta di “giardino incantato” sui social dove pubblicare prodotti e programmi liberi da qualunque regola. Alla fine gli editori hanno accettato di inserire un articolo che formalmente li obbliga a esercitare un controllo sui contenuti diffusi attraverso i propri profili ufficiali presenti sulle piattaforme social e altri canali di condivisione . In una fase storica caratterizzata dalla confusione tra on line e off line, le emittenti televisive hanno condiviso l’esigenza di partire con un Codice che non fosse già vecchio. E questa è senz’altro una buona notizia.

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