I n occasione del 75° anniversario dello Statuto regionale, nel marzo scorso, Sergio Zuncheddu pubblicò nell’inserto de L’Unione Sarda ad esso dedicato un articolo che mi piacque moltissimo per due motivi: prima di tutto perché è perfettamente in linea con la mia rivoluzionaria “Dottrina della Statualità” che fa della Sardegna la matrice dello Stato di cui siamo tutti cittadini, titolata a pretendere un’autonomia particolare e unica, al limite della sovranità, e, poi, perché mette il dito sulla piaga della nostra inettitudine a realizzarla.

I nettitudine che si palesò nel 1948 quando fummo incapaci di scrivere uno Statuto autonomo tutto nostro, e fummo costretti a copiare in fretta e furia – «… e male», commentò Emilio Lussu – quello siciliano, e soltanto per non rimanere esclusi dalla specialità regionale proposta allora dalla Costituente italiana in fase di chiusura.

Si dovrebbe riscriverlo, per renderlo più aderente al profilo storico, eccezionale e singolare della nostra terra, e, quindi, meglio fruibile. Si pensi che lo Statuto di Autonomia catalana basato su un sottofondo di statualità meno solido del nostro, redatto il 22 dicembre 1979, è stato profondamente mutato e aggiornato il 18 giugno 2006.

E noi? La risposta all’interrogativo di questa inettitudine potrebbe venire dal compianto amico giornalista Gianfranco Pintore che nel 1974 scriveva: “Sardegna: Regione o colonia?”, riferendosi al fatto che subiamo ma non facciamo nulla per migliorarci, per evitare l’acculturamento in tutti i settori di un’autonomia mutuata e male amministrata.

In questi ultimi decenni si sono avuti dibattiti, proposte, intendimenti da parte di privati, di partiti, di istituzioni, della stessa Regione Autonoma che si arrovella tutt’oggi più sulla scelta del metodo di riscrittura della Statuto – Consulta o Costituente? – che sui suoi contenuti, senza alcun risultato pratico. Il 7 dicembre 2001 il Presidente emerito della Repubblica, Francesco Cossiga, di cui ero consigliere culturale, si chiedeva: «… perché questa Assemblea Costituente o Convenzione Sarda non redige il nuovo Statuto Sardo, per poi confrontarsi con il Governo centrale, chiamandolo: “Noa Carta De Logu”, scrivendolo certo in italiano, ma anche in antico sardo illustre? E perché, per realizzare tutto ciò, non certo per un forse irrealizzabile unico partito nazionale o nazionalistico sardo, ma almeno per ora perché si possa pensare ad un nuovo soggetto politico che dia voce alla incompiuta Nazione Sarda, con lo scopo appunto di promuovere, realizzare e gestire l'Assemblea Costituente o Convenzione Sarda. Perché non pensare ad un Movimento Federalistico Sardo, una sorta di quello che per la Catalogna è la Convergenza e l'Unione Democratica, che a tal fine raggruppi unitariamente chi la pensa come noi: di sinistra, di centro e di destra?».

L’appello del mio amico rimase purtroppo inascoltato per inanità dei Sardi ad elevarsi, e per incapacità ad autogestirsi.

Storico

© Riproduzione riservata