L ’ultima telenovela della politica italiana dura da poco più di una settimana, ma ha già avuto più colpi di scena di una intera serie tv o di un film, più della Casa di Carta o della saga di Avatar.

Anche in questa storia, a ben vedere, ci sono una truffa e un simulacro irreale. Cosa insegna dunque “il caso Abubakar Soumahoro”? In primo luogo è il ricorrere di un difetto fatale della nostra politica: se c’è una cosa che gli italiani non perdonano mai sono le bugie, e in particolare quelle sulla casa. E così, dopo Claudio Scajola, che inciampò nell’appartamento di via Fagutale al Colosseo (pagato per metà da un imprenditore, ma “a sua insaputa”), dopo il ministro Pietro Lunardi, e la sua palazzina acquistata (a prezzo stracciato) proprio dietro Montecitorio, dopo la ministra Iosefa Idem, incappata in una surreale vicenda di Imu elusa (che le costò le dimissioni dal governo), dopo Gianfranco Fini e la celeberrima vicenda della casa a Montecarlo regalata dalla contessa missina e comprata a prezzo di favore dal cognato del leader (solo per citare alcune delle storie più eclatanti degli ultimi anni), ecco il capo dei braccianti e la sua villetta di Roma sud. (…)

Un a bella casa pagata 450 mila euro, con un mutuo da 270 mila: il che non sarebbe un problema, se l’ex deputato dell’alleanza Sinistra-Verdi (già costretto alle dimissioni dai due leader del suo gruppo), non avesse raccontato una serie di balle inverosimili. Eccole: prima con l’ormai celebre video del pianto (“Voi volete uccidermi! Voi mi volete morto! Mia moglie è disoccupata all’Inps”). Disoccupata, certo, ma già garante del suddetto mutuo con il suo stipendio presso la cooperativa della madre, quella che trattava male gli immigrati, e non pagava i suoi collaboratori. Otto giorni fa Aboubakar piangeva dicendo “Perché non intervistate mia madre e mia suocera!”. E ancora: “Se scoprissi che ci sono state delle irregolarità sarei impegnato a difendere quei lavoratori!”. Il giorno dopo, sabato, a “In Onda” opponeva il silenzio sulla famiglia (e le sue donne si trinceravano dietro il no comment). Ma solo giovedì scorso Aboubakar cambiava versione per la terza volta: “Mi scuso per quel video, non dormivo da due giorni”. E poi: “La mia è stata una sottovalutazione, una leggerezza…”. Quindi nel primo caso era inconsapevole delle violazioni e credeva alla suocera; nel caso due si proclamava martire, nel caso tre (ospite di “Piazzapulita”) ammetteva di conoscere i fatti ma di averli sottovalutati, e scaricava la cooperativa di famiglia: “Non c’è famiglia che tenga di fronte ai diritti”.

I difensori di “Abu” ora si dividono in tre categorie: quelli che parlano di “razzismo contro di lui” (ad esempio un autorevole commentatore come Paolo Mieli), quelli che dicono “Ma non è nemmeno indagato!” (ad esempio Diego Bianchi in arte Zoro), quelli che avvertono: “Così si criminalizzano le giuste battaglie di Soumahoro”. In realtà mi sembrano tutte osservazioni fuori bersaglio: perché il colore della pelle di Soumahoro non c’entra nulla (viene trattato con la stessa legittima severità che abbiamo riservato ad ogni politico che ha provato a raccontare balle sul suo patrimonio). Perché il fatto che non sia indagato non significa nulla (ci sono reati che non comportano colpa, ma anche colpe che non comportano a reati) e infine l’argomentazione sulle battaglie per i diritti di Aboukar va ribaltata: semmai era lui che era tenuto alla responsabilità.

Ci sono poi cose che non tutti si possono permettere: non puoi invocare “il diritto all’eleganza per tua moglie” se sei entrato con le calosce di gomma a Montecitorio invocando il diritto alla giustizia “per i dannati della terra”. E non puoi dire che ti sei mantenuto per sei anni senza stipendio, e poi raccontare che la casa l’hai comprata “scrivendo un libro”. Il problema del caso Soumahoro, dunque, non è che la destra lo attacchi (è ovvio, benvenuto nel mondo reale) ma che lui abbia tradito la “sua” sinistra, i suoi stessi compagni, chi lo ha candidato e - soprattutto - gli elettori che lo hanno votato.

La morale di questa favola nera (per il contenuto, non per il colore) è che dobbiamo imparare tutti a diffidare degli eroi senza macchia e senza paura: Soumahoro è figlio dei media che hanno cost ruito la sua immagine, degli opinion leader che hanno garantito per lui (su tutti Roberto Saviano) e ora tacciono, forse imbarazzati. Nel tempo dell’informazione totale e dei social, la sinistra che perde sente il bisogno di guru, di racconti e mitografie. Ma i miti di cartapesta si sgretolano, come le case comprate all’insaputa degli acquirenti.

Giornalista e autore televisivo

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