R ivoluzione. Cambio di rotta. Terremoto. Il Cagliari si lascia alle spalle due pezzi di storia recente, dirigenti di vertice con storie e percorsi differenti. Nessuna correlazione fra le due vicende, ma un solo botto tremendo dopo quello scivolone nel grigiore di Ascoli. All’esterno il rumore è forte, il silenzio ovattato di Assemini smorza a fatica il clamore per le uscite di scena di Capozucca e Passetti.

L’ormai ex direttore sportivo rompe la tradizione pallonara del no comment blindato con una lettera d’addio ai calciatori, mentre l’ex direttore generale conferma la sua linea di riserbo e lascia in silenzio quella che era diventata casa sua negli ultimi otto anni.

Ma cosa sta succedendo nel Cagliari? Perché questa onda lunga di negatività dentro un club che, ci assolva la retorica, rappresenta veramente un popolo e una regione? Capozucca, fra i più navigati dirigenti del calcio italiano, non se ne sarebbe mai andato, poteva farlo dopo la retrocessione ma – stringendo un patto con le sue ambizioni – preferì dopo Venezia il percorso della ricostruzione. Passetti era da tempo lontano dagli ingranaggi della prima squadra, dopo aver ballato per anni da braccio destro del presidente, ma il suo lavoro davanti e dietro le quinte (i giovani tifosi, la Unipol a tempo di record, le scelte di marketing, le campagne sociali) ha reso il Cagliari un club che ha fatto scuola. “Nessuna umoralità, solo voglia di rinnovamento”, questo trapela dalle sale di Assemini, alla fine del consiglio di amministrazione di ieri, "abbiamo bisogno di riportare entusiasmo”. La speranza che si sia chiusa una lunga stagione di addii eccellenti è tangibile, il tifoso però è confuso (diciamo così) e capisce poco di equilibri interni.

Tutto questo, mentre si avvicina a grandi passi il famoso pallone, quello che devi mettere nella porta degli avversari già domani pomeriggio, per non rischiare un altro terremoto, un’altra rivoluzione. E ricominciare da capo.

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