N el 2024 tornerà in vigore il Patto europeo di stabilità e crescita (Psc), dopo un triennio di sospensione deciso per contrastare meglio la pandemia da Covid-19. In vista di tale obiettivo, la Commissione Ue ha reso nota nei giorni scorsi una sua proposta di riforma del Psc che possa essere discussa pubblicamente. Questa ha preso la forma di “Comunicazione” e contiene solo gli orientamenti della Commissione. È stata resa pubblica perché se ne discuta nelle sedi opportune, in vista della formulazione definitiva da portare in approvazione al Consiglio Ue.

T enendo conto dell’attuale versione del Psc, la Commissione ritiene che i punti salienti della riforma debbano essere almeno due: il primo riguarda la sostenibilità di lungo periodo del debito pubblico di ciascun Paese membro, mentre il secondo attiene alle condizioni che garantiscano una crescita sostenibile e inclusiva di ciascuno di essi, da perseguire attraverso gli investimenti e le riforme. A tal fine, la Commissione propone un nuovo Patto di stabilità e crescita «più semplice, trasparente ed efficace, con una maggiore titolarità nazionale e una migliore applicazione», che consenta di favorire le riforme e gli investimenti e, allo stesso tempo, garantisca una riduzione «realistica, graduale e sostenuta» del debito pubblico.

Questi sono i principi che stanno alla base della Comunicazione presentata nei giorni scorsi dalla Commissione, che contiene gli orientamenti per la riforma del Psc. Non si tratta di una proposta legislativa, che è attesa nel primo trimestre del prossimo anno e seguirà alla discussione tra i Paesi Ue, ma di un documento che indica i principi da porre alla base della riforma. Il Psc attuale è entrato in vigore tra il 1998 e il 1999, in concomitanza con l’avvio dell’euro. Tra i suoi elementi costitutivi sono inclusi, come è noto, gli ormai famosi limiti del 3% al rapporto deficit/Pil e del 60% a quello debito/Pil. Per assicurare il loro rispetto, nella Comunicazione della Commissione vengono proposti un “braccio preventivo” di condizioni da rispettare e un “braccio correttivo”, con quest’ultimo che, se disatteso, può portare a sanzioni pari allo 0,2% del Pil. Gli orientamenti della Commissione mirano a rendere più semplice e trasparente la struttura del Psc e, allo stesso tempo, renderla più efficace ed efficiente, con l’obiettivo dichiarato di tener presenti le sfide di lungo periodo dell’Unione (sicurezza, transizione digitale e ambientale) e di voler contemperare la stabilità, da perseguire con un percorso di graduale riduzione dei debiti pubblici, con una crescita equa e sostenibile.

La proposta si basa su alcuni pilastri fondamentali. Il primo riguarda la distinzione ex ante dei Paesi Ue in tre gruppi, a seconda del loro livello di debito pubblico: basso (un rapporto debito/Pil inferiore al 60%), moderato (tra il 60 e il 90%) e alto (oltre il 90%). In pratica, si prevede che la Commissione indichi a ciascun Paese un percorso di aggiustamento fiscale (e quindi di riduzione del debito) che ha come riferimento principale la “spesa netta primaria”, ovvero la spesa pubblica annuale al netto degli interessi pagati sul debito pubblico e delle misure temporanee legate al ciclo economico. Quindi è attraverso la spesa netta primaria che l’Ue monitorerà anno dopo anno il percorso di riduzione del debito di ciascun Paese.

Per quelli ad alto debito, come l’Italia, la riduzione della spesa netta primaria andrà fatta entro 4 anni e questa deve essere tale da permettere una riduzione del debito pubblico in un arco temporale di 10 anni. In questi 10 anni, in ogni caso, dovrà essere rispettata la soglia mas sima del 3% del rapporto deficit/Pil. Il limite del deficit annuo del 3% quindi non scompare, così come non scompare il vincolo del 60% al rapporto debito/Pil, ma questi vincoli restano solo come riferimento cui far tendere gradualmente i rapporti in questione. Scompare invece l’obbligo di riduzione del livello attuale del debito fino al 60% del Pil in 20 anni: obbligo troppo stringente, poco credibile e sinora non rispettato.

© Riproduzione riservata