S i può discutere di politica senza dir male di questo o di quello e senza dover promettere le ricchezze e gli agi di Bengodi o, che so, il mare a Bortigali ed un ponte sospeso tra Palau e Bonifacio, come pure capitò di dover registrare? Se ne può iniziare a discutere – aggiungo – confrontandosi invece su temi reali, su quel che la politica dovrebbe fare per ben governare e per dare un differente futuro alla nostra Sardegna, liberandola dalle ristrettezze e dalle sofferenze attuali?

Sono domande che in questi giorni sono tornate d’attualità, anche come possibile deterrente per riuscire a tenersi distanti dalle liti e dagli sberleffi fra candidati che hanno mal caratterizzato la campagna elettorale. Perché la politica, la buona politica, non è quella che sa solo promettere benefici od impossibili vantaggi free-tax, ma ha il diritto-dovere di realizzare investimenti ed opere capaci di recuperare i valori ideali dell’utilità sociale, di un diffuso consenso e di una crescita senza esclusioni, finalizzati al “bene comune”.

Ed è verso questo obiettivo che muove questa riflessione tesa a recuperare il vero senso politico dell’autonomia regionale. Che appare offuscato, se non proprio rimosso, dalle continue e risentite accuse verso Roma, e l’Italia tutta, ritenute delle grette ed ingenerose matrigne.

U n’autonomia che sembrerebbe essersi quindi ridotta ad una specie di velleitario contro-potere accusatorio nei confronti di un governo nazionale, ritenuto, aprioristicamente, prevaricatore ed arrogante.

In effetti, da un po’ di tempo in qua, di quel senso politico se ne è perso innanzitutto il valore fondante insito nelle capacità di ben governare, di sapersi percepire come corpo politico auto-pensante ed auto-operante, anziché dimostrarsi sordo ed assente nell’affrontare e nel tutelare le particolari esigenze della nostra gente.

Si continua così a dir male e ad accusare d’ogni ingiustizia Roma e l’Italia tutta, e non ci si accorge che dipendiamo sempre di più da loro. Non a caso andrebbe tenuto presente che per ogni mille euro che entra nelle tasche del milione e mezzo di sardi, oltre trecento provengono da trasferimenti governativi, mentre per ogni mille euro della nostra spesa, circa seicentocinquanta vanno a beni e prodotti importati dalla penisola. Ed è poi questo – a ben pensarci – l’assurdo paradosso di un’autonomia che è ormai divenuta la “grande madre” di una dipendenza sempre più pesante.

È una constatazione che fa male, che stringe il cuore dei tanti che quel 26 febbraio del 1948 (ed io c’ero) plaudirono all’approvazione da parte dei Padri costituenti del nostro atteso Statuto autonomistico. Ci fa molto male, peraltro, essere considerati colonia (lo leggo più volte sui social) e ce ne lamentiamo con sdegno, ma facciamo di tutto perché altri ci considerino tali.

Da una ventina d’anni a questa parte si è assistito al calo progressivo delle produzioni, dell’occupazione, delle nascite e d’ogni altro segno di progresso e di crescita felice, e si è lasciato avanzare il declino, la decrescita infelice, limitandosi a mettere insieme solo e soltanto proteste e lamenti. Nonostante la disponibilità di un bel pacchetto di risorse da utilizzare (solo dall’Europa abbiamo avuto la possibilità di disporre di diversi miliardi di euro, sterilizzatisi, purtroppo, per via di interventi incongrui e/o inutili).

È un po’ questo il risultato d’un governare “alla bancomat”, come piace definirlo, pronti a dare, per cassa, solo sussidi e bonus fini a sé stessi, senza delle finalità per creare crescita e sviluppo. Abbiamo marciapiedi, rotonde e svincoli più d’ogni altra regione d’Europa, ma abbiamo una rete viaria regionale vecchia d’un secolo, che non tiene conto delle mutate interrelazioni e realtà abitative dell’isola; abbiamo ancora più medici per abitante di tante altre regioni (così apprendo), ma non si è riusciti, per evidenti disattenzioni, a territorializzare ed a consolidare una sanità al servizio delle esigenze di tutti i sardi ovunque residenti.

Occorre quindi riscoprire i valori dell’autonomia, indipendentemente che essa sia speciale, rafforzata o federale. Valori che si possono sintetizzare nella riscoperta di un virtuoso comportamento come corpo politico efficace e con le qualità e le competenze necessarie per ben governare. La Sardegna d’oggi ha bisogno, ancor più del passato, di una politica fortemente autonomisti ca, il che significa che deve ritrovare nei suoi rappresentanti, a Roma come a Cagliari, le disponibilità e le capacità per progettarne un futuro che, attraverso una strategia di forte riscossa sociale, la allontani e la salvaguardi dalle sofferte vicissitudini attuali.

Storico e scrittore

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