I nfuria guerra in Ucraina e i russi calpestano anche le verità storiche. Noi vediamo solo le immagini che vengono trasmesse sempre dagli stessi punti di osservazione degli inviati bloccati negli alberghi e negli angoli delle strade oppure quelle che filtrano attraverso le tv ufficiali. Non ci sono cineoperatori “combat-film” in prima linea dove si spara (come nella seconda guerra mondiale o in Vietnam). Non è una novità di questo conflitto, ma dalla prima guerra del Golfo, nel 1990-91, in poi i reporter al fronte sono limitati negli spostamenti.

S i possono muovere solo “embedded”, cioé insieme ai militari e con precise istruzioni. La versione ufficiale è per garantire la loro sicurezza, la verità che nessun governo da una parte o dall’altra vuol mostrare in tv le immagini più forti e cruenti. La copertura è costante 24 ore su 24, soprattutto grazie alle notizie e ai video postati sui social e ripresi dai media internazionali. Siamo comunque in grado di seguire l’evolversi degli eventi, sentiamo le drammatiche testimonianze della gente comune con interviste e reportage. Analisti ed esperti di politica estera hanno preso il posto dei virologi per la pandemia.

Oggi però bisogna fare attenzione al linguaggio della propaganda e ai discorsi dei leader che, negando l’evidenza e ribaltando il significato delle parole, offendono la nostra intelligenza. Putin e i russi in questo sono maestri, basta citare il nuovo zar che accusa gli ucraini di genocidio e parla della necessità di denazificare l’Ucraina, rivolgendosi in particolare al presidente Zelensky che è ebreo e che ha perso alcuni familiari nella Shoah. Genocidio - termine giuridico consolidato dai Tribunali penali internazionali - è lo sterminio pianificato di popoli per motivi etnici, religiosi e politici: dal primo massacro degli armeni in Turchia nel 1915 alla morte per fame di cinque milioni di contadini, di cui quattro in Ucraina, negli anni Trenta voluta da Stalin nel piano di collettivizzazione delle campagne. Gli ucraini furono quelli che soffrirono di più le conseguenze, poiché lo sterminio dei kulaki (oppositori della collettivizzazione) s’intrecciò con la persecuzione dell’intellighenzia e con la lotta al patriottismo di un intero popolo. Fu una tragedia così immensa che gli ucraini inventarono una nuova parola per descriverla: Holodomor o “sterminio per fame”. Una ferita mai rimarginata neppure dopo la caduta dell’Urss. Il secolo scorso ha visto la Shoah, i genocidi nei Balcani, in Ruanda, in Cina contro gli uiguri musulmani, ma non conosciamo uno sterminio pianificato da Kiev ai danni delle popolazioni di lingua russa.

Putin viene da una scuola sovietica che non ha uguali nel campo della “dezinformatzija” e della propaganda. Nel 1940, appena conquistata la parte orientale della Polonia, gli agenti del NKVD trucidarono 22 mila ufficiali dell’esercito polacco nella foresta di Katyn, attribuendo l’eccidio ai nazisti e ammettendo la verità solo nel 1990. Così è avvenuto in Ucraina, dove Putin ha scatenato l’offensiva in grande stile rinnovando quella politica aggressiva della “guerra fredda” con lo scopo di “salvare i paesi fratelli”. Mentre parlava di esercitazioni e negava un possibile attacco durante i colloqui con i vari leader occidentali, i suoi generali stavano preparando i piani.

Si riavvolge il film della storia tornando al 1953 nella Germania orientale quando l’Armata rossa si scatenò contro gli operai metallurgici in sciopero e proseguì tre anni dopo con l’invasione dell’Ungheria. A Praga nell’agosto del 1968 i carri armati sovietici arrivarono in soccorso di studenti e operai cecoslovacchi per “salvarli” dal segretario del partito comunista di Dubcek, che aveva proposto un socialismo dal volto umano. Le truppe russe stazionarono ai confini della Polonia nel 1980 fin quando il generale Jaruzelski decise di fare un colpo di Stato dall’interno e togliere a Mosca il pretesto per invadere.

Dopo il crollo dell’Urss si pensava conclusa l’epoca dell’imperialismo sovietico che oggi sembra rivivere con le ambizioni assolutiste del nuovo zar Putin. Prima la Cecenia, poi la Georgia, l’Ossezia, il Donbass, le repubbliche separatiste di Luhansk e Donetsk. Infine la Crimea strappata agli ucraini con le bombe e i carri armati, sempre in nome e in aiuto delle minoranze russofone. Le ultime imprese sono di questi giorni tristi, difficile immaginare una soluzione pacifica che possa smentire le menzogne di Putin.

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